NONGUARDOLATV
A stare con le mani in mano Carlo Barbagallo proprio non ce la fa. E Dio (o chi per lui) lo benedica. Il Live at Yoko Ono è stato registrato a Catania nel Marzo del 2010, e dire che il nostro è in forma è dire davvero poco. Connubio uomo e chitarra, come nelle migliori tradizioni. Come i cantori mitologici riportati ai giorni nostri. Come i discepoli di Neil Young. Come quei buskers nella tube londinese che anche se hai fretta ti fermi ad ascoltarli (e poi magari qualche anno dopo diventano Turin Brakes o Badly Drawn Boy e tu - e solo tu - lo sapevi già). Lo avevo lasciato con un EP (Quarter Century) e me lo ritrovo ancora più maturo e sicuro di se. Me lo immagino a pestare il tempo su Paper Mirror mentre le dita viaggiano sulla chitarra. E poi le uscite grunge (20 anni da Nevermind e non sentirli), in acustico, si capisce. E grida, Barbagallo, agli affamati di blues e agli strimpellatori nelle camerette; “non siete soli!” sembra dirgli. Barbagallo se ne fotte dell’hipsteria di luci e centrali elettriche. E noi siamo tutti schiavi dei suoi accordi grattati. Play again, Barbagallo.
NETMUSICLIFE
Ritorna l'iper-attivo Barbagallo, grande talento del panorama indie italiano. Dopo averci deliziato l'inverno con l'ottimo "Quarter Century", ecco arrivare questo "Live at Yoko Ono", registrato il 18 Marzo 2010 nel Music Club catanese da Daniele Settipani e ri-masterizzato dallo stesso Barbagallo. Un assaggio dei live che il musicista siciliano affronterà nei prossimi mesi. E' notevole il calore che sanno trasmettere queste registrazioni, in cui l'anima blues di Barbagallo fuoriesce con presenza magmatica ed avvolgente. Tante piccole perle pescate dal suo vasto repertorio (8 release da solista), senza contare le innumerevoli collaborazioni con altri musicisti e la gestione di Barbie Noja Records. Barbagallo svolge ogni cosa...suona la chitarra, canta, manda in loop fraseggi di chitarra e ci sviluppa brevi a-solo in superficie creando un'atmosfera malinconico-confidenziale tra amabili raucedini vocali (Wait) e sottili rimandi ai musicisti che hanno rigenerato la musica popolare degli ultimi 50 anni (da Lennon a Buckley). Un album che si fa amare ascolto dopo ascolto, tra piccole imperfezioni, un gran talento e anima da vendere.
SENTIREASCOLTARE
Eravamo rimasti alla proiezione prismatica di Carlo Barbagallo in quel Quarter Century che ne concretizzava l'indole multiforme, robotica e arcaica, avanguardistica e basale, spettrale e patafisica. Una cifra espressiva in espansione che ribadiva l'estro già imprevedibile suggerito dalle pregresse esperienze (con Albanopower e Suzanne'Silver tra le altre cose) del musicista siracusano. Ed ecco questo Live At Yoko Ono che sembrerebbe proprio un altrettanto imprevedibile rinculo verso forme più roots, salvo che trattasi semmai di un prequel dal momento che l'incisione risale al marzo 2010. Potremmo interpretarla così: il folk-blues radicale di queste tredici tracce è il motore che macina al centro del marchingegno, il cuore sommerso di una calligrafia ramificata ed espansa. Il grado zero barbagalliano, se preferite.
Immortalato su un palco da solo in semiacustica simbiosi con la chitarra, eccolo prestarsi brusco e percussivo sulle corde, la voce una scorza che esala lirismo irrequieto e pensosità viscerale (Dust, No Place), non troppo distante dal primo Mark Lanegan o dal rimpianto Layne Staley. La capacità di distillare tremori contemporanei da materiali e strutture così pervicacemente "tradizionali" - ovviamente in chiave angloamericana - è l'aspetto più convincente della proposta, come è evidente in quella Wait che non fatichi ad immaginare in stridenti abiti indie, così come nel languore insidioso di Spectacle e nell'ombroso smarrimento piuttosto Howe Gelb di Nothing.
Probabilmente i momenti più eterei - come la intensa Little Island - meriterebbero un tocco più leggero, una più nitida definizione di dettagli e sfumature, ma a Barbagallo sembra interessare più che altro il ribollire delle inquietudini sotto la febbre ruvida, dietro questa maschera sonora tra le molte che usa indossare. Forse, sospettiamo, una di quelle che gli somiglia di più.
SHIVER
Pochissime parole per descrivere questo diamantino grezzo chiamato Live at Yoko Ono del musicista siciliano Carlo Barbagallo, registrato a Catania e che in fondo non è che l’integrazione di un talento creativo folgorante, una versione unplugged ispiratissima ed oscura che non si differenzia minimamente da quegli storyteller fumosi e color neon che abitano dall’altre parte dell’Oceano, al 221 della Lincoln Avenue Newyorkese; chitarra, anima e voce per un soliloquio fighissimo, chiuso ed aperto come le intercapedini poetiche di Badly Drawn Boy, Robyn Hitchcock e tutte quelle felici disperazioni consumate dalle pieghe dei pensieri e delle cromaticità interiori.
Barbagallo è di quella generazione che non si nasconde nella nicchia dell’underground, vive e partecipa ad immaginare un’immaginario che possa essere compatibile con le smanie di un’etica cantautoriale sana e bella e dove non fa eccezione questo live act ricco di un abbondante atmosfera soul-folk looner che spira su quasi tutte le undici tracce, su quasi tutti i tremori che l’artista distribuisce a volontà; si respira Inghilterra, America, le immense incontrollabilità poetiche che fanno eco nei busker’s corner metropolitani e le dilatazioni che si astraggono dal calo dell’oscurità, un’esplorazione live che annusa gli America (“Spectacle”), abbraccia il Canada Younghiano (“The motion”), ci regala la perla di folk aperto e fischiettato (“Paper mirror”), il rubino lo-fi intimista “Nothing”, l’acquamarina arpeggiata che fa solitudine e tenerezza (“Little island”) e c’è anche il tempo di uno stupendo spasimo in slide dove Barbagallo brucia tutta la straordinarietà esecutiva di una rumoristica di cordame storto alla maniera d’Echo Sibley (“The cypress tree”).
Barbagallo ci mette davanti all’ennesima occasione e conferma di un talento capace non di “scrivere” canzoni, quelle sono capaci di scriverle tutti – più o meno – ma di utilizzare pezzi d’anima e cucirli in melodie che si fermano in gola e in cuore per restarci.
GROOVE BOX
Carlo Barbagallo da Siracusa è un giovane cantautore nostrano che, tra un progetto musicale e l’altro (Albanopower, Suzanne’Silver e Tempestine tra gli altri), ogni tanto si prende un po’ di tempo per sé, imbraccia la sua chitarra e scrive canzoni, delle belle canzoni. Pur mantenendo un approccio piuttosto semplice ed immediato al musicista siciliano piace sperimentare e lo si può appurare dalle sue creazioni, piccole perle in cui si incontrano il blues con il rock, il folk con la psichedelia, il brit-pop con il grunge, interpretate con un attitudine lo-fi che rende il tutto ancor più intimo e speciale. Il live album “Live at Yoko Ono” (in download gratuito su bandcamp) è registrato durante una performance unplugged a Catania nella quale vengono riproposti i brani contenuti nei suoi dischi precedenti. In canzoni come “Wait”, “Paper Mirror”, “Spectacle” o “The Motion” vengono a galla le influenze di Pink Floyd e Neil Young, ma anche un certo amore verso alcune composizioni acustiche degli ultimi Nirvana o verso la prima corrente brit-pop, i Blur su tutti, con la voce di Carlo che richiama in alcune sue sfumature quella di Michael Stipe dei R.E.M.. Insomma la proposta di Barbagallo è semplice ma dotata di forte personalità, in grado di ammaliare l’ascoltatore, di penetrare nelle profondità della sua anima e conquistarlo con il suo incostante miscuglio di suoni, colori ed emozioni. Da non perdere.
ARTISTSANDBANDS
Carlo Barbagallo è un artista davvero infaticabile, su questo non ci sono dubbi. Basti pensare che dopo questa nuova pubblicazione di cui stiamo scrivendo, ha già all'attivo diverse collaborazioni tra cui il disco dei Suzanne'Silver. Dopo l’ottima compilation Quarter Century eccoci con questa nuova registrazione dal vivo, risalente allo scorso marzo 2010, performance in cui il musicista siciliano ha proposto brani del proprio vasto repertorio, allo Yoko Ono di Catania, accompagnato dalla sola chitarra acustica.
I brani trasudano sostanzialmente di una spiazzante linearità come nella tenue "Nothing" e "Little Island". In questo senso Barbagallo ci fa ascoltare, se vogliamo, un lato diverso da quello a cui ci aveva preparati ovvero più cervellotico, ricercato e ricco di stilemi wave. Ovviamente tutto questo è difficile da trovare in una registrazione cosiddetta 'unplugged', ma è nell’ascolto che si delinea questo interesse, maggiormente tendente a linee sonore più smussate ma non meno robuste. C’è molto di sanguigno, a tratti blueseggiante come nelle graffianti note di "Spectable" e di "Crumbs" o nelle movenze country nello slide della chitarra di "The Same Old Lament".
Il tutto viene condensato dalla tagliente interpretazione vocale, che pone molto bene in risalto le proprie qualità più cantautoriali, a metà strada tra un Reed ed un Buckley. Questa volta, insomma, Barbagallo ha voluto dare un maggior peso ai moti interni che funestano l'io, sfruttando un canale musicale più diretto ed esente da fronzoli, ma non per questo meno efficace. Altra buona prova del musicista siracusano.
MUSICREVIEWS2P0
Carlo Barbagallo ci propone una sua esibizione live allo Yoko Ono music club. Live acustico con chitarra più loop player, ma soprattutto con la sua voce. La metto in evidenza perché come ogni buon cantautore che si rispetti, merita della maggiore considerazione. È particolare, profonda, espressiva, ed intonata (dato da non trascurare in questi tempi). I pezzi sono abbastanza vari, si va da ballate, che hanno echi di musica country, come “ The Same Old Lament”, che rimanda a Bob Dylan…ad un pezzo solo strumentale, contrastante con il precedente perché ritmicamente diverso, dove nel sottofondo si possono sentire dei rumori e delle voci, quasi a dire che la musica sta là, al centro della scena, e tutto il resto non conta, le emozioni che suscita sono connesse a quella vita in società che abbiamo, ma urlano più forte e la sovrastano. C’è “Nothing” fatta da parole sussurrate, alcune rimangono quasi strozzate in gola, affaticate nel venire fuori, è una poesia, la musica è praticamente nulla, appena qualche accordo per riepire gli spazi vuoti (giusto alla fine si fa poco più densa). Un testo semplice, ma ben espresso. Insomma giusto qualche esempio tra i diversi pezzi, la musica di Carlo è strumentalmente semplice ma ben costruita, la sua voce è il punto forte, perché come si dice in gergo “manda”, arriva dritta, dove vuole arrivare. Buon ascolto.
BREAKFAST JUMPERS
Carlo Barbagallo è un ventisettenne siracusano che, oltre ad aver pubblicato diversi dischi come solista, collabora o ha collaborato a numerosissimi progetti, tra i quali vanno menzionati almeno i Suzanne'Silver, Albanopower, La Moncada e Les Dix-Huit Secondes. Questo disco è stato registrato a Catania nel marzo del 2010 (non sono infatti presenti canzoni dell'ultimo lavoro Quarter century) e contiene dodici pezzi tratti dai precedenti dischi del musicista siciliano più un inedito. Si tratta di un folk-blues per chitarra, voce e loop station, anche se è difficile inquadrare Barbagallo in un preciso genere. Ascoltando il disco vi renderete infatti conto dell'eterogeneità della proposta di questo cantautore dotato di una voce profonda ed emozionante e di un'ottima tecnica chitarristica. Live At Yoko Ono esce per la Noja Recordings, net-label gestita dall'artista stesso.
ROCKIT
Prequel rispettabilissimo, questa ripresa live, che ribassa le lancette della storia fino al 2010, rispetto al buon “Quarter Century”, summa piuttosto avanguardistica e in qualche misura prewar (se non pre-history) del musicista siracusano. Proveniente da pregresse esperienze con altri musici siciliani (Suzanne'Silver uber alles), il Nostro mette in fila 13 saporite performance, imperniate sul gusto retro di un folk a forte componente bluesy, dove un’intera protostoria del genere viene scarificata e reinterpretata attraverso una visione piuttosto personale.
Solipsistica rappresentazione per uomo-solo-e-chitarra, rude e percussiva risulta "Dust, No Place", meditativa e 'di stomaco', un po’ Lanegan nella sua fragile deriva grunge. Rispettabilmente indie è la nitida, un po’ traditional, “Wait”, vecchio trattato angloamericano, in una chiave mirabilmente attuale; così come desertica declinazione a là Calexico, o smarrimento d’Arizona, risultano buona parte delle perle messe in campo (da “Spectacle” a “Nothing”). Un po’ caotica e meno sfumata suona la pur bella ”Little Island”, frenetico ribollire di un musicista inquieto, ma lucido e determinato. Altra buona prova dietro di sé.
A stare con le mani in mano Carlo Barbagallo proprio non ce la fa. E Dio (o chi per lui) lo benedica. Il Live at Yoko Ono è stato registrato a Catania nel Marzo del 2010, e dire che il nostro è in forma è dire davvero poco. Connubio uomo e chitarra, come nelle migliori tradizioni. Come i cantori mitologici riportati ai giorni nostri. Come i discepoli di Neil Young. Come quei buskers nella tube londinese che anche se hai fretta ti fermi ad ascoltarli (e poi magari qualche anno dopo diventano Turin Brakes o Badly Drawn Boy e tu - e solo tu - lo sapevi già). Lo avevo lasciato con un EP (Quarter Century) e me lo ritrovo ancora più maturo e sicuro di se. Me lo immagino a pestare il tempo su Paper Mirror mentre le dita viaggiano sulla chitarra. E poi le uscite grunge (20 anni da Nevermind e non sentirli), in acustico, si capisce. E grida, Barbagallo, agli affamati di blues e agli strimpellatori nelle camerette; “non siete soli!” sembra dirgli. Barbagallo se ne fotte dell’hipsteria di luci e centrali elettriche. E noi siamo tutti schiavi dei suoi accordi grattati. Play again, Barbagallo.
NETMUSICLIFE
Ritorna l'iper-attivo Barbagallo, grande talento del panorama indie italiano. Dopo averci deliziato l'inverno con l'ottimo "Quarter Century", ecco arrivare questo "Live at Yoko Ono", registrato il 18 Marzo 2010 nel Music Club catanese da Daniele Settipani e ri-masterizzato dallo stesso Barbagallo. Un assaggio dei live che il musicista siciliano affronterà nei prossimi mesi. E' notevole il calore che sanno trasmettere queste registrazioni, in cui l'anima blues di Barbagallo fuoriesce con presenza magmatica ed avvolgente. Tante piccole perle pescate dal suo vasto repertorio (8 release da solista), senza contare le innumerevoli collaborazioni con altri musicisti e la gestione di Barbie Noja Records. Barbagallo svolge ogni cosa...suona la chitarra, canta, manda in loop fraseggi di chitarra e ci sviluppa brevi a-solo in superficie creando un'atmosfera malinconico-confidenziale tra amabili raucedini vocali (Wait) e sottili rimandi ai musicisti che hanno rigenerato la musica popolare degli ultimi 50 anni (da Lennon a Buckley). Un album che si fa amare ascolto dopo ascolto, tra piccole imperfezioni, un gran talento e anima da vendere.
SENTIREASCOLTARE
Eravamo rimasti alla proiezione prismatica di Carlo Barbagallo in quel Quarter Century che ne concretizzava l'indole multiforme, robotica e arcaica, avanguardistica e basale, spettrale e patafisica. Una cifra espressiva in espansione che ribadiva l'estro già imprevedibile suggerito dalle pregresse esperienze (con Albanopower e Suzanne'Silver tra le altre cose) del musicista siracusano. Ed ecco questo Live At Yoko Ono che sembrerebbe proprio un altrettanto imprevedibile rinculo verso forme più roots, salvo che trattasi semmai di un prequel dal momento che l'incisione risale al marzo 2010. Potremmo interpretarla così: il folk-blues radicale di queste tredici tracce è il motore che macina al centro del marchingegno, il cuore sommerso di una calligrafia ramificata ed espansa. Il grado zero barbagalliano, se preferite.
Immortalato su un palco da solo in semiacustica simbiosi con la chitarra, eccolo prestarsi brusco e percussivo sulle corde, la voce una scorza che esala lirismo irrequieto e pensosità viscerale (Dust, No Place), non troppo distante dal primo Mark Lanegan o dal rimpianto Layne Staley. La capacità di distillare tremori contemporanei da materiali e strutture così pervicacemente "tradizionali" - ovviamente in chiave angloamericana - è l'aspetto più convincente della proposta, come è evidente in quella Wait che non fatichi ad immaginare in stridenti abiti indie, così come nel languore insidioso di Spectacle e nell'ombroso smarrimento piuttosto Howe Gelb di Nothing.
Probabilmente i momenti più eterei - come la intensa Little Island - meriterebbero un tocco più leggero, una più nitida definizione di dettagli e sfumature, ma a Barbagallo sembra interessare più che altro il ribollire delle inquietudini sotto la febbre ruvida, dietro questa maschera sonora tra le molte che usa indossare. Forse, sospettiamo, una di quelle che gli somiglia di più.
SHIVER
Pochissime parole per descrivere questo diamantino grezzo chiamato Live at Yoko Ono del musicista siciliano Carlo Barbagallo, registrato a Catania e che in fondo non è che l’integrazione di un talento creativo folgorante, una versione unplugged ispiratissima ed oscura che non si differenzia minimamente da quegli storyteller fumosi e color neon che abitano dall’altre parte dell’Oceano, al 221 della Lincoln Avenue Newyorkese; chitarra, anima e voce per un soliloquio fighissimo, chiuso ed aperto come le intercapedini poetiche di Badly Drawn Boy, Robyn Hitchcock e tutte quelle felici disperazioni consumate dalle pieghe dei pensieri e delle cromaticità interiori.
Barbagallo è di quella generazione che non si nasconde nella nicchia dell’underground, vive e partecipa ad immaginare un’immaginario che possa essere compatibile con le smanie di un’etica cantautoriale sana e bella e dove non fa eccezione questo live act ricco di un abbondante atmosfera soul-folk looner che spira su quasi tutte le undici tracce, su quasi tutti i tremori che l’artista distribuisce a volontà; si respira Inghilterra, America, le immense incontrollabilità poetiche che fanno eco nei busker’s corner metropolitani e le dilatazioni che si astraggono dal calo dell’oscurità, un’esplorazione live che annusa gli America (“Spectacle”), abbraccia il Canada Younghiano (“The motion”), ci regala la perla di folk aperto e fischiettato (“Paper mirror”), il rubino lo-fi intimista “Nothing”, l’acquamarina arpeggiata che fa solitudine e tenerezza (“Little island”) e c’è anche il tempo di uno stupendo spasimo in slide dove Barbagallo brucia tutta la straordinarietà esecutiva di una rumoristica di cordame storto alla maniera d’Echo Sibley (“The cypress tree”).
Barbagallo ci mette davanti all’ennesima occasione e conferma di un talento capace non di “scrivere” canzoni, quelle sono capaci di scriverle tutti – più o meno – ma di utilizzare pezzi d’anima e cucirli in melodie che si fermano in gola e in cuore per restarci.
GROOVE BOX
Carlo Barbagallo da Siracusa è un giovane cantautore nostrano che, tra un progetto musicale e l’altro (Albanopower, Suzanne’Silver e Tempestine tra gli altri), ogni tanto si prende un po’ di tempo per sé, imbraccia la sua chitarra e scrive canzoni, delle belle canzoni. Pur mantenendo un approccio piuttosto semplice ed immediato al musicista siciliano piace sperimentare e lo si può appurare dalle sue creazioni, piccole perle in cui si incontrano il blues con il rock, il folk con la psichedelia, il brit-pop con il grunge, interpretate con un attitudine lo-fi che rende il tutto ancor più intimo e speciale. Il live album “Live at Yoko Ono” (in download gratuito su bandcamp) è registrato durante una performance unplugged a Catania nella quale vengono riproposti i brani contenuti nei suoi dischi precedenti. In canzoni come “Wait”, “Paper Mirror”, “Spectacle” o “The Motion” vengono a galla le influenze di Pink Floyd e Neil Young, ma anche un certo amore verso alcune composizioni acustiche degli ultimi Nirvana o verso la prima corrente brit-pop, i Blur su tutti, con la voce di Carlo che richiama in alcune sue sfumature quella di Michael Stipe dei R.E.M.. Insomma la proposta di Barbagallo è semplice ma dotata di forte personalità, in grado di ammaliare l’ascoltatore, di penetrare nelle profondità della sua anima e conquistarlo con il suo incostante miscuglio di suoni, colori ed emozioni. Da non perdere.
ARTISTSANDBANDS
Carlo Barbagallo è un artista davvero infaticabile, su questo non ci sono dubbi. Basti pensare che dopo questa nuova pubblicazione di cui stiamo scrivendo, ha già all'attivo diverse collaborazioni tra cui il disco dei Suzanne'Silver. Dopo l’ottima compilation Quarter Century eccoci con questa nuova registrazione dal vivo, risalente allo scorso marzo 2010, performance in cui il musicista siciliano ha proposto brani del proprio vasto repertorio, allo Yoko Ono di Catania, accompagnato dalla sola chitarra acustica.
I brani trasudano sostanzialmente di una spiazzante linearità come nella tenue "Nothing" e "Little Island". In questo senso Barbagallo ci fa ascoltare, se vogliamo, un lato diverso da quello a cui ci aveva preparati ovvero più cervellotico, ricercato e ricco di stilemi wave. Ovviamente tutto questo è difficile da trovare in una registrazione cosiddetta 'unplugged', ma è nell’ascolto che si delinea questo interesse, maggiormente tendente a linee sonore più smussate ma non meno robuste. C’è molto di sanguigno, a tratti blueseggiante come nelle graffianti note di "Spectable" e di "Crumbs" o nelle movenze country nello slide della chitarra di "The Same Old Lament".
Il tutto viene condensato dalla tagliente interpretazione vocale, che pone molto bene in risalto le proprie qualità più cantautoriali, a metà strada tra un Reed ed un Buckley. Questa volta, insomma, Barbagallo ha voluto dare un maggior peso ai moti interni che funestano l'io, sfruttando un canale musicale più diretto ed esente da fronzoli, ma non per questo meno efficace. Altra buona prova del musicista siracusano.
MUSICREVIEWS2P0
Carlo Barbagallo ci propone una sua esibizione live allo Yoko Ono music club. Live acustico con chitarra più loop player, ma soprattutto con la sua voce. La metto in evidenza perché come ogni buon cantautore che si rispetti, merita della maggiore considerazione. È particolare, profonda, espressiva, ed intonata (dato da non trascurare in questi tempi). I pezzi sono abbastanza vari, si va da ballate, che hanno echi di musica country, come “ The Same Old Lament”, che rimanda a Bob Dylan…ad un pezzo solo strumentale, contrastante con il precedente perché ritmicamente diverso, dove nel sottofondo si possono sentire dei rumori e delle voci, quasi a dire che la musica sta là, al centro della scena, e tutto il resto non conta, le emozioni che suscita sono connesse a quella vita in società che abbiamo, ma urlano più forte e la sovrastano. C’è “Nothing” fatta da parole sussurrate, alcune rimangono quasi strozzate in gola, affaticate nel venire fuori, è una poesia, la musica è praticamente nulla, appena qualche accordo per riepire gli spazi vuoti (giusto alla fine si fa poco più densa). Un testo semplice, ma ben espresso. Insomma giusto qualche esempio tra i diversi pezzi, la musica di Carlo è strumentalmente semplice ma ben costruita, la sua voce è il punto forte, perché come si dice in gergo “manda”, arriva dritta, dove vuole arrivare. Buon ascolto.
BREAKFAST JUMPERS
Carlo Barbagallo è un ventisettenne siracusano che, oltre ad aver pubblicato diversi dischi come solista, collabora o ha collaborato a numerosissimi progetti, tra i quali vanno menzionati almeno i Suzanne'Silver, Albanopower, La Moncada e Les Dix-Huit Secondes. Questo disco è stato registrato a Catania nel marzo del 2010 (non sono infatti presenti canzoni dell'ultimo lavoro Quarter century) e contiene dodici pezzi tratti dai precedenti dischi del musicista siciliano più un inedito. Si tratta di un folk-blues per chitarra, voce e loop station, anche se è difficile inquadrare Barbagallo in un preciso genere. Ascoltando il disco vi renderete infatti conto dell'eterogeneità della proposta di questo cantautore dotato di una voce profonda ed emozionante e di un'ottima tecnica chitarristica. Live At Yoko Ono esce per la Noja Recordings, net-label gestita dall'artista stesso.
ROCKIT
Prequel rispettabilissimo, questa ripresa live, che ribassa le lancette della storia fino al 2010, rispetto al buon “Quarter Century”, summa piuttosto avanguardistica e in qualche misura prewar (se non pre-history) del musicista siracusano. Proveniente da pregresse esperienze con altri musici siciliani (Suzanne'Silver uber alles), il Nostro mette in fila 13 saporite performance, imperniate sul gusto retro di un folk a forte componente bluesy, dove un’intera protostoria del genere viene scarificata e reinterpretata attraverso una visione piuttosto personale.
Solipsistica rappresentazione per uomo-solo-e-chitarra, rude e percussiva risulta "Dust, No Place", meditativa e 'di stomaco', un po’ Lanegan nella sua fragile deriva grunge. Rispettabilmente indie è la nitida, un po’ traditional, “Wait”, vecchio trattato angloamericano, in una chiave mirabilmente attuale; così come desertica declinazione a là Calexico, o smarrimento d’Arizona, risultano buona parte delle perle messe in campo (da “Spectacle” a “Nothing”). Un po’ caotica e meno sfumata suona la pur bella ”Little Island”, frenetico ribollire di un musicista inquieto, ma lucido e determinato. Altra buona prova dietro di sé.