Interviews
SENTIRE ASCOLTARE
Di Barbagallo sappiamo da tempo ormai la natura poliedrica, la capacità di muoversi tra sottigiliezze avant e brume roots concretizzata in modalità e incarnazioni diverse (soprattutto cogli ottimi Suzanne's Silver). Per limitarsi all'attività solista, con Quarter Century prima e col Live At Yoko Ono poi è come se avesse segnato gli estremi del raggio d'azione, marcato un territorio che copre dalla sperimentazione electro-psych fino al folk-blues più basale. Il difficile di siffatte dichiarazioni d'intenti è non perdersi nella larghezza del fronte espressivo, mantenere ben saldo il polso della proposta. In questo Blue Record il siracusano - con l'aiuto di membri sparsi di band contigue e attigue quali La Moncada, Dead Cat In A Bag e Monade Stanca tra gli altri - sembra proprio risolvere la questione, raggiungendo una sintesi intrigante perché apparentemente non forzata, una calligrafia naturale di piani espressivi sovrapposti.
Una specie di bassorilievo blues che chiama in causa tutto un microcosmo espanso di suoni, vibrazioni e fremiti visionari. Sussurri e grida, vampe e penombre. Ci sono le sincopi folk-psych in trama sintetica wave - quasi un Julian Cope bucolico - di Hiss Of Hush ed il caracollare desertico di Radion, c'è la lunga melliflua insidiosa ipnosi raga di Rats & Mosquitoes e una Rainbow che stilla malinconia indolenziata Elliott Smith via Layne Staley, poi ancora ecco le brezze robotiche a scompigliare lo swinghettino frusto di Jewish ed una In My Better Cup mefistofelicamente devota al vangelo d'irrequietezze Lanegan. Infine, per una Soulself che mira l'iperuranio chiamando in causa perturbazioni siderali psych, jazz e prog, c'è il rinculo frugale di quella For The Turnstiles che azzecca la cover rielaborando Neil Young in chiave acidula mariachi.
Un carosello elusivo ed evocativo, ambiguo nel senso migliore del termine. Da cui esci deliziosamente stordito.
MUCCHIO SELVAGGIO
Non è uno che si risparmia, Carlo Barbagallo. Musicista e compositore ancora giovane, eppur con alle spalle lunghi e trasversali trascorsi in formazioni del sottobosco italiano (Suzanne’Silver, Albanopower, La Moncada) nonché autore di diversi album in veste solista, produttore, curioso sperimentatore che all’avanguardia sa abbinare le lezioni di ambiti non necessariamente convergenti. Caratteri che spiccano nel Blue Record (Noja Recordings) dell’artista siciliano ormai torinese d’adozione, in otto canzoni figlie di un insaziabile eclettismo.
Ogni brano fa storia a se, conduce in una precisa direzione e poi disorienta con una fitta trama strumentale mai fine a se stessa. Il rock incontra il jazz in SoulSelf, la lezione morriconiana si fa onirica in Radion, funk e soul convivono nella rilettura di For The Turnstiles di Neil Young, la musica popolare è un semplice refrain che esce da una grammofono in Jewish, mentre gli anni Novanta emergono nei moti alt-rock di In My Better Cup e negli Alice in Chains (il binomio Staley-Cantrell è stato uno degli incontri fondamentali nell’apprendistato musicale di Barbagallo, e si sente) che fanno capolino dietro alle raffinate trame acustiche di Rainbow. Nel piccolo, grande universo rappresentato in Blue Record, la quiete è disturbata (Rats & Mosquitoe), il frastuono è razionale (Hiss Of Hush). Caos e cosmo, o forse viceversa.
ROCKIT
Undicesima fatica per Barbagallo, poliedrico musicista siciliano che, fra le tante esperienze, può vantare quella con Albanopower (e scusate se è poco), questo “Blue Records” trae il nome dallo studio di registrazione di Mondovì (Cuneo) in cui hanno preso corpo gli otto brani che lo compongono. A dispetto del nome, che evoca atmosfere jazzate, il clima del disco è profondamente psichedelico. A dir la verità, nell’opener “Soulself”, l’apertura rimanda direttamente proprio ad armonie jazz, tra il giro di accordi della chitarra e il lavoro del vibrafono: non si tratta solo di un ricordo di quello che è un mondo sonoro molto amato da Barbagallo, ma di una connessione profonda e sostanziante (nonché sostanziale) con la psichedelia, la quale nasce quando nel rock e nel folk vengono adottate i complessi accordi jazz, i tempi di batteria basati, diciamo così (e mi perdonino i musicisti, ma bisogna farsi capire anche da chi non suona), su un prevalente utilizzo dei piatti, e la massiccia tendenza all’improvvisazione basata sulle scale modali. Per lo meno, questo è quanto è avvenuto storicamente nella genesi della psichedelia della West Coast (due soli esempi bastano e avanzano: “Eight Miles High” dei Byrds e “Dèjà vu”, il brano, di CSNY, entrambi a firma David Crosby). In effetti, benché la conclusione di “Soulself” presenti sorprendentemente un riff da manuale del progressive nella sua versione più jazz-oriented, questa è la dimensione della psichedelia cui in “Blue Records” Barbagallo si accosta maggiormente: e la conferma arriva subito dopo, prima con l’interessante “Radion” e poi con la superba cover di “For the Turnstiles”, brano ingiustamente considerato minore di Neil Young solo perché relegato in chiusura della facciata A di quel capolavoro immenso che è “On the Beach” (1974). Barbagallo riesce nella colossale impresa di non far rimpiangere l’originale, perché, pur mantenendosi aderente allo spirito e al sound dell’originale (basato semplicemente su banjo e dobro), ne evidenzia i soprasensi, colorandolo di un torrido hammond che neanche Al Kooper, un sezione fiati tra il jazz e il soul, effetti elettronici che paiono uscire da un acid trip, cori che non si potrebbero collocare temporalmente e spazialmente altro che in un’afosa sessione al Broken Arrow Ranch nella prima metà dei Seventies). Il clima cambia con le successive “In My Better Cup”, dove trovo più forte l’influenza di Dr. John, e “Rats & Mosquitoes”, lungo e ipnotico strumentale in cui la tendenza di Barbagallo a utilizzare inserti di musica concreta, persistente in tutto il lavoro, si fa più forte, intersecandosi fecondamente con un ambiente sonoro fatto di arpeggi sospesi, batteria utilizzata coloristicamente, soprattutto sui piatti: il tutto, per certi versi, può ricordare alcune cose, tra le più dilatate, dei Jennifer Gentle. Se “Hiss of Hush” sposta la psichedelia di Barbagallo in territori più moderni e “Jewish” flirta addirittura con il manouche, il ca-po-la-vo-ro “Rainbow” ha qualcosa della pigra indolenza, che però qui si trasforma in rabbia, di “No Excuses” degli Alice in Chains. Una caratteristica tra le più evidenti dell’intero lavoro è la ricerca di un suono materico: pare di sentire il contatto fisico con le corde delle chitarre, ad esempio. Barbagallo riesce a fondere i vari strumenti, pur così presenti, in un tutt’uno perfettamente coerente, in cui ognuno si distingue nitidamente pur concorrendo a creare un’atmosfera complessiva totalmente armonica. Anche per questo "Blue records" si differenzia positivamente dal suono standard che caratterizza, purtroppo, troppi lavori odierni. In definitiva un ottimo disco, che merita tutta l’attenzione possibile.
INDIE-EYE
Torna il siracusano Barbagallo, e come in precedenza (Quarter Century e Live At Yoko Ono) è un bel sentire. Già firma e collaboratore di svariati progetti (Suzanne Silver, La Moncada, Albanopower) l’artista siciliano dedica il titolo della sua nuova prova agli studi di registrazione dove sono stati prodotti alcuni dei brani del nuovo disco. Blue Record non doma l’animo sperimentale del musicista e dei suoi sodali (tra cui membri di Dead Cat In A Bag e La Moncada), ma anzi lo sostiene e lo rinforza con bordate chitarristiche mai così vicine al post rock barricadero della scuola di Louisville, emblematica in tal senso è la traccia che apre il lavoro, la ferrosa e saltellante Soulself. La psichedelia post-tutto ricopre i brani di una patina arcigna e disturbante, anche quando il passo si fa più meditativo e cadenzato (Radion) o quando sembra che una banda di fiati in calzoncini e ciabatte accompagni l’esecuzione della riuscitissima cover Younghiana For The Turnstiles, direttamente da quel capolavoro che è On The Beach.
La trance ossessiva ed ipnotica prende il sopravvento nei dodici e rotti minuti di Rats & Mosquitos, delirio di spazzole strascicate, rumorismi siderali e arpeggi di chitarra avant blues da fine del mondo. Si è sempre a fuoco, sempre concentrati e sul pezzo, anche quando si aprono squarci di vecchie rabbie grunge come nella sofferta In My Better Cup o il nostro duetti con la spettrale voce di Lucia Argese (Hiss Of Hush). Il numerino jazz convulso in lo-fi di Jewish fa da apripista alle malinconie acustiche della bella Rainbow, pizzicata da una melodia che rimanda ancora a dolori ed uggiosità anni ’90 tra l’asse Seattle – Portland.
Blue Record è la conferma (graditissima) di un artista con molte cose da dire e con in testa un’idea di musica niente affatto scontata.
RUMORE
Ottime notizie dal poli-strumentista e autore siracusano, già collaboratore di Albanopower e La Moncada, nonchè solista fra psichedelia, radici nordamericane e avanguardia. Blue Record mantiene gli ingredienti dell'amalgama, ma ne cambia le proporzioni, sbilanciandosi verso i primi due e spingendo in direzione appena meno sperimentale. Il gusto ci guadagna: tenendosi lontano da soluzioni banali e clichè, Carlo Barbagallo firma sette brani elaborati e stimolanti, ma pronti per l'ascolto: l'elettricità con colori prog e post-rock di SoulSelf e dei suoi grovigli di chitarra; gli arpeggi acustici della cupa e folk In My Better Cup; i dodici minuti di viaggio lisergico a rilascio lentissimo di Rats & Mosquitoes; i quasi dieci di Radion, che comincia come un country-rock placido, inserisce un vibrafono e si trasforma in una rivisitazione personalizzata di For The Turnstiles di Neil Young, con fiati e slide, e gran finale desertico-spaziale.
MUSICZOOM
47 sfumature di blu. No, non è il vostro nuovo romanzo da spiaggia. Con l’estate che marcia inesorabile verso la sua conclusione era logico ed inevitabile che il blu fosse il colore prescelto per i vostri ascolti. Noi di blu finora ne abbiamo visto poco, ma ne abbiamo fatto incetta negli scorsi anni, per esempio ascoltando a ripetizione il Blue Album degli Orbital: 48 sfumature di blu. Con cui il Blue Record di Barbagallo (49 sfumature di blu), uscito quest’anno per la Noja Recordings, in realtà condivide ben poco. Apparentemente. Perché se dal punto di vista del suono siamo su due piani completamenti differenti (dove i primi si annientano con una trance a tratti estasiante ed esaltante, il secondo invece si muove su un filone rock blues con frequenti incursioni in territori strumentali e sperimentali), concettualmente siamo nella stessa dimensione spaziale. Letteralmente, spaziale. E ciò non è solo merito della fenomenale Rats & Mosquitos: 12 e passa minuti di divagazioni strumentali magniloquenti e psichedeliche che dimostrano come l’assenza di gravità riesce a far viaggiare la mente alla velocità della luce, nonostante ritmi assolutamente fermi. Sublime come un viaggio interstellare. Ma anche gli altri pezzi dell’album non sono da meno: solo per nominarne alcuni, le divagazioni ritmiche della traccia iniziale, Soulself; la memorabile rivisitazione di For the Turnstiles di Neil Young (altra chiara indicazione dei gusti musicali dell’artista); e lo struggimento conclusivo di Rainbow, impressionante per coinvolgimento emotivo e trasporto artistico. Il Blue Record si pone essenzialmente in pole position come album dell’anno, senza ripensamenti o dubbio alcuno. Anche perché negli episodi ove sembra fare più fatica, il disco riesce a sorprenderti ed entusiasmarti. Come in In my better cup, dove dopo l’inizio straniante, Barbagallo tira fuori in interpretazione da applausi degna del miglior Mark Lanegan. Che poco tempo fa ha pubblicato il suo Blues Funeral: e con questa fanno 50 sfumature di blu.
RADIO BOMBAY
Carlo Barbagallo, siciliano classe ’85, è un musicista a tutto tondo: compositore, arrangiatore, ingegnere del suono e produttore. Ripercorrere la sua lunga ed eclettica carriera è un’ardua impresa, soprattutto se lo si conosce da poco; lo ascoltai per la prima volta non molto tempo fa, quando diverse riviste di settore presentarono il suo ultimo lavoro, “Blue Record”, come un piccolo capolavoro. Il disco è, in effetti, un vero gioiellino: 8 pezzi, 40 minuti circa, un sapiente concentrato di blues, country rock e psych-rock anni ’60. Una sperimentazione dai toni pacati che, piuttosto che esaltare i pezzi, cerca di fonderli, creando un effetto puzzle in cui scorgere infinite sfumature. Il disco si apre con un blues dal titolo “SoulSelf” e prosegue con “Radion” e “For the Turnstiles”, seconda e terza traccia, dai toni più dolci e country; dalla quarta traccia in poi inizia la metamorfosi, la psichedelia si fa avanti e nemmeno te ne accorgi, il cambiamento avviene sinuoso, lentamente. “Jewish” sembra una vecchia registrazione su nastro di una qualche jam session da pub newyorkese, con una spolverata di jazz, “Rats & Mosquitoes” è invece una ballata di oltre 12 minuti dove chitarre e suoni (che ricordano effettivamente lo squittio di topi ed il fastidiosissimo verso delle zanzare) si portano avanti, creando un’atmosfera pacata e allo stesso tempo tesa, al limite del reale. Fra i progetti, passati e presenti, di Carlo Barbagallo ci sono: The Worst Problems, Le Tempestine, Les Dix-Huit Secondes, Albanopower, Suzanne Silver, Loners, La Moncada, In the Kennel, CoMET (Collettivo Musica Elettroacustica Torino). Barbagallo è un’artista emozionante, il suo approccio alla musica è completo, il suo gusto eccezionale: uno di quei grandi che passano spesso inosservati. Blue Record meriterebbe un posto in classifica fra i migliori dischi italiani del 2013.
VIVALOWCOST
Barbagallo ha recentemente pubblica il disco dal titolo "Blue Record". Il poliedrico musicista coglie nel segno proponendo un disco da otto brani uno più intrigante dell'altro. Il disco blu è un caleidoscopio sonoro, un arcobaleno muscale in cui a ogni nota corrisponde uno stato d'animo, tutto è al suo posto.
In "Soulself" c'è un approccio muscolare con un breve cantato sussurrato in inglese; si passa poi alla strumentale ed ipnotica "Radion" che ti avvolge come una coperta piena di buone melodie. C'è spazio anche per la cover della bellissima "For the turnstiles" di Neil Young. "In my better cup" si respira un'atmosfera diversa: voci e cori cupi si intrecciano in un turbinìo di accordi nervosi e una linea di basso davvero ben riuscita. Poi c'è "Rats & mosquitos": gli strumenti la fanno da padrone, sembra di stare in un deserto con un'irrefrenabile voglia di salvezza. Bella la chiusura con "Rainbow", bello l'uso del tocco sulla chitarra acustica, suggestiva la voce e spettacolare l'incedere desertico che richiama.
Barbagallo realizza un disco da ascoltare e riascoltare per ore e ore senza guardare l'orologio: il tempo non ha senso quando si ascolta tanta bellezza.
ROCK GARAGE
Difficile definire il nuovo lavoro del compositore siciliano Carlo Barbagallo. Dentro vi è di tutto: psichedelia, accenni free jazz, grunge, folk insomma, chi di più ne ha… Barbagallo riesce comunque a tirare via un lavoro gradevole, intelligente, che scorre tranquillo fino alla sua conclusione riuscendo a non annoiare l’ascoltatore, anzi, a incuriosirlo maggiormente. Principalmente parliamo di un lavoro strumentale in cui i (pochi) brani cantati presentano voci lontane. Apre la rapida Soulself. Pochi minuti di basso elettrico martellante e “danzante”, di chitarre sotto acido con gustoso intermezzo free-jazz. Tra il Captain Beefheart di Trout Mask Replica e il Frank Zappa più curioso. Segue Radion, placida e rilassata. Mentre For The Turnstiles è una cover di un vecchio brano di Neil Young, dal dimenticato On The Beach. Il lavoro di restyling operato da Barbagallo è ottimo, sembra quasi di ascoltare Beck filtrato maggiormente dall’estetica lo-fi. My Better Cup si apre con un arpeggio sinistro e prosegue con un basso elettrico distorto e incazzato oltre ogni limite. Urla grunge e rabbia dominano il pezzo che arriva dritto alla lunga, lugubre Rats & Mosquitos. Concludono il disco lo swing mortuario di Jewish (con la relativa presenza di un kazoo) e i mille colori di Rainbow, ballata per chitarra e voce. Un lavoro decisamente riuscito, di breve durata (più o meno 40 minuti), ma maturo e coraggioso.
OSSERVATORI ESTERNI
Musicista curioso e poliedrico, Carlo Barbagallo è uno di quei nomi che da tempo gira, a ragione e con insistenza, negli ambienti indipendenti, raccogliendo consensi e il rispetto della comunità underground, molto spesso isterica e con la puzza sotto il naso.
"Blue Record" – album di ritorno dopo "Live At Yoko Ono" e "Quarter Century" – si muove nei territori blues e psych-folk, immergendosi di tanto in tanto nel prog e nel jazz. Coadiuvato da musicisti provenienti dai suoi progetti paralleli – due nomi su tutti La Moncada e La Monade Stanca -, Barbagallo dà vita a un lavoro raffinato, mai banale, prodotto con criterio e gusto che riesce a farsi ascoltare tutto d’un fiato.
Si apre con "Soulself": due minuti scarsi martellati da un basso poderoso con un intermezzo impro-jazz azzecatissimo e si continua con la delicata "Radion" per poi arrivare all’acidissima "In My Better Cup", punto di contatto tra Mark Lanegan e il grunge.
Barbagallo è in stato di grazia e si vede, divertendosi a giocare con la tradizione, coverizzando "For the Turnstiles" di Neil Young – contenuta nel meraviglioso "On The Beach" – addolcendola con fiati e percussioni, mica poco.
"Blue Record" è un ottimo lavoro, pieno e maturo, che meriterebbe vetrine luminose e palchi prestigiosi. Consigliatissimo.
SON OF MARKETING
Quando si parla di musicisti e compositori come Barbagallo (una prolifica carriera alle spalle fra cui i progetti Suzanne’Silver, Albanopower, La Moncada) non ci si può fermare alla definizione di genere ma non si può nemmeno parlare soltanto di sperimentazione. Il suo approccio alla musica è decisamente ampio e caratterizzato da un spiccata attitudine all’abbattimento di schemi predefiniti. Segue un percorso proprio nel quale la libertà stilistica è l’unica direzione individuata.
A conferma di questo c’è il nuovo album intitolato Blue Record. Partendo dalle venature psichedeliche (spiccate e lisergiche in “Hiss of Hush“), la sua musica si presenta con forti irrobustimenti, abrasive dilatazioni che sostengono strutture blues (“Radion“), giochi ritmici (“Jewish“) e anche aperture melodiche (“Rainbow“).
La sua creatura prende forma con l’iniziale “SoulSelf”, fra i brani più corposi dell’album e che mette in risalto gli scompensi ritmici. La bravura di del musicista si può ascoltare anche nella renterpretazione di “For The Turnstiles” di Neil Young: con un’attenta analisi delle sfumature, viene amplificata la potenza del brano concedendo spazio anche all’anima rumoristica della sua musica nella seconda parte.
“In My Better Cup” è un pezzo che fa della multistratificazione il suo forte: dalle ritmiche ossessive acustiche di base, si eleva un altro livello colmo di distorsioni che assecondano l’aspetto vocale. La vetta dell’album è raggiunta con ”Rats & Mosquitoes“: una lunga e oscura visione psichedelica che assume le connotazioni ambientale fatta di piccole ma essenziali incursioni che vanno a movimentare il tessuto interno del brano.
Otto brani legati dalla ricerca di una rilettura del filone psichedelico e che rispecchia l’ecletticità del musicista siciliano, fra i talenti più meritevoli del nostro Paese. La sua bravura sta nell’aver trasformato l’attitudine in impostazione personale attraverso un sound forte e riconoscibile proprio come il colore dell’artwork del disco.
THE DAFEN PROJECT
Prima di ascoltare questo disco, vi consiglio di disintossicarvi almeno per un giorno da tutto l’ universo musicale -imposto più o meno subliminalmente- che vi circonda. Lasciate passare soltanto i suoni e i rumori naturali; il resto filtratelo accuratamente, spengete la radio, youtube scordatevelo, fate finta di non vedere i cd che affollano casa vostra. Passate le 24 ore, andrete su SoundCloud, e premerete play su “Blue Record”, ultimo lavoro del compositore siciliano BARBAGALLO. Fatto? Ancora probabilmete non ve ne starete accorgendo, ma è appena cominciata la vostra rieducazione musicale. Proverete a scalciare, quasi infastiditi dall’ evidente registrazione fatta in casa, così lontana dalle produzioni impacchettate e lustrate; nudo e crudo però è anche più intimo e immediato; dunque alla fine non vi rimarrà altro che arrendervi al suo fascino. Io stessa mi sono avvicinata scetticamente, annusando l’ aria come un animale impaurito. Il giorno dopo mi sono svegliata canticchiando “SoulSelf” e completamente assuefatta all’ ipnotica “In My Better Cup”.
Questo album ha infatti l’ immenso potere di catapultarci in una dimensione spazio-temporale altra, una sorta di liquido amniotico che ovatta i rumori esterni, una trance primitiva di assoluta comunione con ciò che ci sfiora. Si amplificano i sensi, e le percezioni si fanno più intense.
Non c’ è un’ etichetta da poter appiccicare sopra a questo insolito artista; tocca generi agli antipodi, dal rock, all’ ambient, dal blues al synth, facendo della propria indipendente e creativa sperimentazione un’orgogliosa bandiera. La stessa curiosità che suscita in noi ascoltatori, solleticando corde della nostra anima atrofizzate e poco stimolate dalla comune musica commerciale.
Mi raccomando, concedetegli (e concedetevi) il tempo che si merita.
ONDA ALTERNATIVA
Carlo Barbagallo è un musicista. Definirlo cantautore, piùttosto che compositore o arrangiatore sarebbe a mio modestissimo parere sbagliato. Quello che fa è musica. Autore siciliano classe '85, stando alla sua biografia ha fondato la sua prima band all'età di 11 anni. Dal 2007 scrive, suona (tutti gli strumenti) e produce musica al ritmo di 3/4 lavori l'anno con le sue varie collaborazioni.
Questo Blue Record poi è una cosa un po' particolare. Arriva dopo altri 3 album solisti, alcuni EP e un paio di registrazioni live. Forte è l'influenza blues, che pare muoversi in una sorta di reinterpretazione elettronica, quasi grunge. Le canzoni sono sempre accompagnate dal rumore metallico delle corde di chitarre acustiche, le voci sono quasi sempre lontane, con un certo retrogusto di lo-fi e di rumore di sottofondo tipico dei vecchi vinili. Si tratta di composizioni complesse, con una struttura articolata piena di suoni e strumenti che si intrecciano, lasciando spazio ora alla chitarra, ora all'organo, ora ai fiati. Tutto molto ben amalgamato.
L'album è fondamentalmente un album strumentale. Le voci, i cori, le parole si piegano di fronte ai suoni, il significato perde d'importanza. Le uniche canzoni realmente cantate sono Rainbow e From the Turnstiles, una cover di un vecchio pezzo del '74 di Neil Young. Una rivisitazione intelligente è piacevole, che si distacca quanto basta dall'originale pur mantenendone i richiami. For the Turnstiles è seguita probabilmente dal più bel pezzo dell'album, In my Better Cup: cori femminili si alternano su un lamentoso giro di chitarra.
L'album si conclude con Jewish, una sorta di swing allegro da balera anni '30 in cui fa capolino anche un kazoo, seguito dalla già citata Rainbow, che al contrario è un malinconico chitarra e voce.
Un bell'album da ascoltarsi d'un fiato insomma, che anche grazie alla durata abbastanza breve (circa 40 minuti) consente di apprezzare a pieno le capacità di questo polistrumentista. E poi, cosa molto importante, lo potete ascoltare tutto in streaming!
IL TEATRINO DEGLI ORRORI
Musica affascinante e magnetica quasi quanto le scariche statiche di una vecchia tv fuori sintonia.
SHAKE
Per Carlo Barbagallo è il suo curriculum a parlare e per una volta a dire molto e ad inquadrare il personaggio, dallo studio dei suoni alle registrazioni lo fi, dalle sperimentazioni alle sonorizzazioni, senza tralasciare il suo percorso artistico oltre che da solista anche con diverse band (Albanopower , Suzanne' Silver , Les Dix-huit secondes , La moncada). Questo "Blue Record" è un vero e proprio ritratto, profondo come il colore che da il nome alla release. Si respira "cinema" nelle immagini che affiorano alla mente e sensazioni, suggestioni, gli anni '70, un cowboy e il suo cavallo, che sembra vadano al piccolo trotto (la suggestione in questo caso è data dai tempi di batteria) e raccontano o semplicemente ricordano "storie" ma anche no, nel senso che questo è il cammino che noi abbiamo intrapreso ascoltando i brani e l'immagine "che ne abbiamo cavalcato" per cercare una chiave al mondo di Barbagallo che è sicuramente un mondo dove vi consigliamo di immergervi e scoprire le "vostre" suggestioni. "SoulSelf": jazz, psichedelica e un mood di stampo anni 70 convulso e convincente. "Radion": folk psichedelico a tinte western con tanto di vibrafono, suggestiva e cinematografica. "In My Better Cup": ipnotica, dall'incedere cupo e marziale, si avvicina all'ultima produzione dei Black Eyed Dog come sonorità d'insieme. "Rats & Mosquitoes" dodici minuti di pura alchimia sonora in una suite/colonna sonora, liquida e dilatata. "Hiss Of Hush": giochi di voce e ritmica accattivante. "Jewish" 2 minuti concitati dal piglio jazz dal gusto retrò. "Rainbow": la traccia più convenzionale verrebbe da dire, è una ballad folk che cresce via via d'intensità e mette in mostra un cantato decisamente convincente.
ROCKAMBULA
Barbagallo è un giovane artista siciliano che si contraddistingue per la sua naturale propensione alla musica da poli strumentista autodidatta. Capace di spaziare da melodie Classic-jazza a composizioni più frizzanti Folk Blues, sempre con l’accortezza di una composizione fluida e originale che si riversa nei più schietti e sinceri passaggi di psichedelia Rock. Otto brani missati con dedizione per proporci un ascolto che spazia tra timbriche molto diverse che conferisco a questo disco un onda sonora surreale per un viaggio musicale composto da atmosfere introspettive.
“SoulSelf”è il brano che apre l’Ep, attacco da Big Band vecchio stile, mi ha lasciato un po’perplesso all’inizio, ma probabilmente la scelta è dovuta al passato musicale di Barbagallo. “Radion”, la seconda traccia, comincia a staccarsi dalle convenzioni per portarci in un’atmosfera di fluido Blues che ci scioglie per portarci dentro. Segue una cover del buon vecchio Neil Young,“For The Turnstiles”. A scendere “In my Better Cup” e “Rats & Mosquitoes”due pezzi cupi e visionari che toccano l’intimità di Barbagallo in una ambientazione da cattedrale abbandonata. “Hiss of Hush”non è da meno, liquida mi ha fatto scioglere, il pezzo migliore secondo me. Chiudono l’album,“Jewish” e “Rainbow”; la prima confusionaria con un magnifico clarinetto di sottofondo, la seconda onirica conclude l’Ep lasciandoci nel sogno, nella speranza con splendidi accordi di chitarra.
Questo è un ottimo lavoro che premia la genialità musicale di questo ragazzo che con estrema musicalità e padronanza della composizione non lascia nulla al caso per farci scivolare in noi stessi in modo fluido senza incupire.
THE WHITE SURFERRegistrato nel corso del 2011, "Blue Record" è l'omaggio che il siracusano Carlo Barbagallo rende all'omonimo studio di Mondovì, Cuneo, assieme alla folta schiera di musicisti che vi gravitano attorno: Ettore Magliano (Canalese Noise), Francesco Alloa (La Moncada, Goat Man Records), Manuel Volpe, Matteo Romano (Io Monade Stanca) e molti altri ancora.
Un nuovo caleidoscopio di suoni dopo il già poliedrico "A Quarter Century", che spazia dai ricchi arrangiamenti dell'iniziale Soulself alle più scarne In My Better Cup - chitarra mesta, voci in sottofondo di Lucia Urgese dei Les Dix-Huit Secondes e sfuriata grunge nel finale - e Rainbow, un gioiello di songwriting memore degli anni Novanta; dalle ipnosi di Radion (odore di Dirty Three) e della sperimentale Rats & Mosquitoes (repellente ad ultrasuoni per topi e mosche e molte altre sorprese nella strumentazione utilizzata) alle più giocose Hiss of Hush, altra collaborazione con la Urgese, e Jewish, swing d'epoca screziato di fruscii elettronici. Ciliegina sulla torta, la superba rivisitazione della For the Turnstiles di Neil Young.
Laddove molti si perderebbero in accostamenti forzati, realizzando un insieme poco coeso e privo di carattere, Barbagallo riesce magicamente ad armonizzare senza il minimo sforzo tradizioni folk-blues, sperimentazione elettronica e scrittura memore del sound americano di fine millennio, amalgamando con una naturalezza più unica che rara universi solo apparentemente inconciliabili. Una necessità di esprimersi che supera ogni vincolo di genere o ogni strategia opportunistica su cosa sarebbe bene fare e non fare: l'amore per la musica come unico motore.
MOLAMOLA
Carlo Barbagallo è uno di quei musicisti a cui, dovendolo incontrare per la prima volta, non converrebbe chiedere “e insomma di cosa ti occupi?” a meno che non abbiate tutta la serata completamente libera. Apriremmo volentieri una sezione di Molamola solo per parlare dei suoi innumerevoli progetti e delle sue tante sembianze artistiche ma lo spazio ed il tempo sono tiranni. Ci concentriamo perciò su Blue Record, lavoro di pregevole fattura, che fa risaltare l’amore di Barbagallo per quel genere chiamato LO-FI. Definizione tuttavia restrittiva, visto che Barbagallo spazia nel disco dal blues scarnificato al rock cavernoso, dalle atmosfere alla Marc Ribot a paesaggi quasi post-rock, trovando anche il tempo di incidere una cover di Neil Young.
“Radion”, la seconda traccia è stata quella che ha vinto, ma se avessimo pescato un’altra qualunque delle sue “sorelle” sareste comunque capitati bene. Abbiamo scelto questo pezzo perché l’anima del disco è strumentale (seppur la voce fa capolino qua e là), e Radion la sintetizza al meglio. Intendiamoci: non è musica adatta per una serenata, non lo metterete mai su ad una festa o se volete qualcosa di orrendamente ballabile...ma allo stesso tempo è proprio ciò che noi cerchiamo a Molamola. Quel genere di disco che ti fa stare bene anche da solo, di cui ci si convince di essere tra i pochi estimatori e invece…
In Radion spicca il costante, lento e progressivo dialogo tra chitarra, basso e batteria dai toni lisergici, dilatati. Vengono in mente paesaggi arsi dal sole, ritratti da un menestrello elettrico che all’ombra di un albero cerca la fonte d’ispirazione. Un’atmosfera che nonostante tutto però non è oppressiva, non crea alcuna cappa di calore o tensione, ma che anzi…fa trasparire tra le note una certa cura per la rarefazione dei suoni. Questa “Radion”, come recitano le stesse note a corredo del disco è un “lungo viaggio interstellare nella polvere”: c’è da gustarsela, passeggiando lentamente facendosi spettinare dal vento oppure dondolandosi su un’amaca a fissare la luce del sole. Radion e in generale tutto il disco a chi scrive hanno richiamato alla mente il progetto di un duo portoghese, tali Dead Combo, ed il loro disco Lisboa Mulata dove blues, folk, lo-fi e musica portoghese si fondono in un caldissimo abbraccio sonoro. Barbagallo non è da meno, e oltre che abbracci (sonori e non) meriterebbe anche una sincera stretta di mano per questo lavoro di pregio. Chapeau.
SHIVER
Il disco parte, Barbagallo (Albano Power, La Moncada) ricorda Rosolina Mar! Un gruppo favoloso, indimenticabile e purtroppo dimenticato. Le chitarre si aviluppano in armonici groove psichedelici, la batteria che regge il ritmo, tutto fila lisco. Poi la voce lontana, che racconta e canta di storie surreali e personali.
Barbagallo alla sua prima prova, primo pezzo, sembra qualche cosa di già sentito. Tutto poi cambia perchè arrivano chitarre western da far invidia ai Ronin che irrompono in un blues funky davvero interessante, con una voce nera disco ’70. È una cover di Neil Young. C’è spazio per le ballate oniriche (“In My Bettter Cup”) e davvero ben costruite che esplodono in momenti noise con gusto. “Rats e Mosquitoes” si mantiene sulla stessa linea, suoni lineari e sospesi per passare con grazia in un pezzo strappa cori e ritmi pulseggianti. “Jewish” è un pezzo psichedelico alla Captain Beefheart senza la voce del capitano, mentre “Rainbow”, che chiude il disco, è una calda ballata da montagna, con chitarre ben registrate e sintonizzate e la voce calda e liquida, che racconta ammiccante un testo semplice e immediato.
Un lavoro particolare, spiazzante, ben fatto che non sempre arriva dove vorrebbe arrivare ma che trascina e convince quanto basta.
DISTORSIONICarlo Barbagallo, estroso artista (compositore, arrangiatore, ingegnere del suono, produttore) siculo trapiantato a Torino, già conosciuto per le performance con band di tutto rispetto come: Albanopower, Dead Cat In A Bag, La Moncada, etc, ritorna con un nuovo album dal titolo “Blue Record”. Disco di qualità che rappresenta bene l'artista e le sue varie sfaccettature musicali. Otto tracce e 40 minuti, più o meno, di sound variegato, che spazia dal jazz al progressive, dalla ballad rock (la struggente Rainbow) al blues (di SoulSelf), dal country (vedi For the Turnstiles) al funk/soul di una riuscitissima versione di For The Turnstiles di Neil Young, fino ad arrivare alla sperimentazione (Rats & Mosquitos tra le altre) che attraversa tutto il disco. Blue Record dà una forte sensazione d'improvvisazione e di psichedelia anni 60 (a tratti alla Byrds), merito dei musicisti che Barbagallo ha riunito. Un album variopinto, che si discosta certamente dalle mode e che mette in risalto la musica, quella pura, suonata da strumenti veri, senza artifizi e con tanta competenza, che non ha bisogno di contorni perché di sostanza ce n’è parecchia. In Blue Record l'anima di ognuno dei componenti della band (provenienti da Io Monade Stanca, Airportman, Dead Cat In A Bag, Manuel Volpe, Les Dix-Huit Secondes) si fonde in una sola, dando vita a un disco totalmente istrionico, che trasuda divertimento, nel quale lo scambio di ruoli è massimo e nessuno è leader e protagonista se non la musica. Barbagallo ha fatto un disco intelligente e ricco di passione.
WOODSTOCK77
Barbagallo dà i natali al suo nuovo album,“Blue Record”,blu come la copertina. Composto da otto tracce, non è semplicemente classificabile in un genere ben prestabilito come già è accaduto per i precedenti lavori del compositore siciliano. Ciò è identificabile sin dalla prima traccia, che tra vocals eteree e melodie a dir poco sghembe, per non dire quasi dissonanti ci avvolge in un atmosfera onirica bellissima, come in un vortice caleidoscopico di immagini sfocate. Si prosegue invece con un blues più canonico, una passeggiata nel deserto del sale per atmosfere ben sviluppate che continuano poi in “In My Better Cup” e “Rats & Mosquitos”, mentre la prima è una ballata prettamente acustica la seconda è una cavalcata psichedelica di dodici minuti che stupisce molto per come lentamente è in grado di infilzarsi tra le ossa per appassionare lentamente l’ascoltatore. Come per gli album precedenti Barbagallo non si risparmia con la fantasia donando alle sue canzoni paesaggi variegati e sempre pregni di quell’atmsfera un po’ trasognata ed un po’ desertica che rende la sua musica ormai riconoscibile.”Blue Record” non è un lavoro facile, le melodie non sono esattamente “catchy” e la musica non di semplicissima fruizione ma chi darà ad essa la possibilità di esprimersi non ne rimarrà assolutamente deluso.
STORDISCO
Dopo aver fatto due chiacchiere con lui (vedi qui), ed aver scoperto che Carlo Barbagallo non è solo il musicista, il tecnico, il produttore, ma anche il bambino che ancora ha voglia di sperimentare, conoscere e stupire, possiamo parlare della sua ultima creatura. Anche se “ultima” per Carlo non è mai una parola che suona bene. Possiamo dunque dire che è un album di partenza, quella che non si è mai stanchi di intraprendere, dopo innumerevoli soste fatte sempre con la medesima voglia di ripartire. E sono ben otto le “tappe” di questo lavoro, ognuna delle quali ci regala alla fine una pausa che ci darà il giusto ritmo dell’attesa , per poi potersi meravigliare ogni volta della omogenea diversità di ognuna delle tracce. Diversità regalata dalla grande capacità dell’artista e dei suoi ospiti, di saper spaziare con estrema naturalezza, da un genere al suo opposto, riuscendo sempre con estrema perfezione a combinare inconsapevolmente (ma anche no), suoni lisegici a suoni caldi, che in toto avvolgono e ti consegnano alla successiva scena, ovviamente diversa. Sembra dunque essere questo il punto di forza di Blue Record, la totale selezione e fusione di generi, colori e umori, che danno vita a qualcosa di unico e inqualificabile, cielo e mare che si incontrano, materie diverse, sfumature diverse, ma stesso principio. Il blu. Blu elettrico, quello iniziale di “SoulSelf”, che non dà certo tempo di pensare, ma voglia di andare avanti pensando che tutto sia alla stregua di un velocissimo vortice. E invece no, ecco che arriva “Radion”, una ballad da toni caldi e rilassati, da serate estive a mirar orizzonti in riva al mare, che assume sfumature malinconiche, da vero blues. Si arriva pian piano a “In My Better Cup” in cui voci e blues all’unisono gridano con gran forza, la stessa che spingerebbe chiunque ad andare oltre. Oltre. Oltre il passato, oltre le cicatrici e oltre quello stesso orizzonte che famelici si vuole superare. Basteranno dunque i successivi dodici minuti di “Rats & Mosquitoes” per riflettere e capire come fare. Lenta, lunga a tratti lugubre, ma in ogni caso necessaria per potersi superare ed arrivare allo stadio successivo. Ed ecco infatti che inesorabili arrivano i suoni della carica, quelli che dopo riflessioni e momenti di attenta analisi, ti spingono verso la tua meta conosciuta o no. Impossibile ora, non appassionarsi alla voglia di ricominciare tutto dall’inizio, ma con la consapevolezza di aver scoperto che alla fine certi momenti puoi farli durare in eterno con il giusto sound e i giusti colori, magari quelli di “Rainbow”. Un album che senza dubbio ha come tema il viaggio, inteso come traslazione dell’uomo verso nuovi lidi stellari, ma anche come trasformazione che il viaggio stesso impone.
QUADRI PROJECT
Barbagallo si presenta cosi...un pò cantastorie, un pò autobiografico, passionale e appassionato, emozionato e emozionale…tanto underground; inizia la sua avventura musicale nel 1985, sperimentando l’home-recording, e posizionando sul web molto del suo lavoro. Creatività sposata ai mezzi d’avanguardia, collaborazioni e approfondimenti, una continua ricerca e un avanzamento tenace verso i traguardi più ambiti: tutti conquistati; dalla specializzazione alla composizione e alla produzione musicale nonchè alla sperimentazione, Carlo Barbagallo, questo il nome completo dell’artista, fa della musica un mezzo semplice e complesso al tempo stesso, plasmabile e fluido. Il nuovo album è stato rilasciato tra marzo e aprile 2013, in streaming ed è intitolato “Blue record”, comprende otto tracce , mi ha entusiasmato molto il pezzo dal titolo “Radion” ma devo citare anche “Rats e Mosquitoes” per l’ambientazione sperimentale rarefatta, l’electro che ti assorbe e ti distende, un invito alla meditazione sonora; del resto tutto l’album cattura e invita all’ascolto, con un’olografica mano che ti afferra e lascivamente ti porta dentro la musica. Album di spessore è di certo un momento di alta musicalità. Apprezzatissimo.
LOST HIGHWAYS
Carlo Barbagallo è un musicista e compositore siciliano, ingegnere del suono e produttore artistico. Già noto e molto apprezzato nel panorama indipendente sia come solista sia per i suoi progetti paralleli tra i quali Suzanne’ Silver, Albanopower e La Moncada. Nel marzo scorso presenta il suo ultimo lavoro dal titolo Blue Record in onore dello studio di registrazione presso il quale collabora e luogo di produzione del disco stesso. Blue Record si compone di otto tracce, precisamente sette inediti ed una cover di Neil Young. Si tratta di pezzi per lo più strumentali che mettono in evidenza (oggi come in passato) il piglio creativo e la bravura dell’artista, nonché la capacità di spaziare tra più generi, come il blues, il jazz, l’ambient e il post-rock. L’apertura del disco è affidata alla psichedelica Soulself con i suoi ritmi irregolari e dirompenti, seguita dalle atmosfere da film Western di Radion, dove le acque si chetano leggermente e al continuo intreccio di batteria, basso e chitarra si interpongono le bucoliche note del vibrafono. Si arricchisce, rispetto all’originale, di un’ampia sezione di fiati e percussioni tribali la personale interpretazione di For The Turnstiles di Neil Young. Una versione di tutto rispetto quella di Barbagallo, che presenta però una piccola pecca negli eccessivi effetti elettronici sul finale del pezzo. Atmosfere più cupe sono quelle che caratterizzano In My Better Cup e Rats & Mosquitoes; quest’ultima, in particolare, si insinua come un tarlo nella mente a causa dei fastidiosi ultrasuoni prodotti dal repellente per ratti e zanzare. L’album si chiude con Rainbow, un brano più tradizionale e malinconico costituito dalla sola chitarra e voce. Ancora una volta, con Blue Record e la sua musica, Carlo Barbagallo regala all’ascoltatore un disco accattivante e godibile dal primo all’ultimo pezzo, assieme alla possibilità di esplorare territori musicali un po’ più insoliti rispetto a quelli a cui si è abituati.
DISTORSIONI
Carlo Barbagallo, estroso artista (compositore, arrangiatore, ingegnere del suono, produttore) siculo trapiantato a Torino, già conosciuto per le performance con band di tutto rispetto come: Albanopower, Dead Cat In A Bag, La Moncada, etc, ritorna con un nuovo album dal titolo “Blue Record”. Disco di qualità che rappresenta bene l'artista e le sue varie sfaccettature musicali. Otto tracce e 40 minuti, più o meno, di sound variegato, che spazia dal jazz al progressive, dalla ballad rock (la struggente Rainbow) al blues (di SoulSelf), dal country (vedi For the Turnstiles) al funk/soul di una riuscitissima versione di For The Turnstiles di Neil Young, fino ad arrivare alla sperimentazione (Rats & Mosquitos tra le altre) che attraversa tutto il disco. Blue Record dà una forte sensazione d'improvvisazione e di psichedelia anni 60 (a tratti alla Byrds), merito dei musicisti che Barbagallo ha riunito. Un album variopinto, che si discosta certamente dalle mode e che mette in risalto la musica, quella pura, suonata da strumenti veri, senza artifizi e con tanta competenza, che non ha bisogno di contorni perché di sostanza ce n’è parecchia. In Blue Record l'anima di ognuno dei componenti della band (provenienti da Io Monade Stanca, Airportman, Dead Cat In A Bag, Manuel Volpe, Les Dix-Huit Secondes) si fonde in una sola, dando vita a un disco totalmente istrionico, che trasuda divertimento, nel quale lo scambio di ruoli è massimo e nessuno è leader e protagonista se non la musica. Barbagallo ha fatto un disco intelligente e ricco di passione.
IL TEATRINO DEGLI ORRORI
Musica affascinante e magnetica quasi quanto le scariche statiche di una vecchia tv fuori sintonia.
NATURALEZA INSACIABILE
Directamente desde Sicilia no les traemos a ningún mafioso, mamma mia, sino que algo muchísimo mejor: la música de Carlo Barbagallo, personaje que, como se lee en su Bandcamp, ha experimentado las posibilidades creativas de grabar tanto en estudio como de forma casera, y ha formado parte y/o liderado un montón de bandas o proyectos. Carlo ha incursionado en la electroacústica (su EP A1/So Free (2012) es tan serio, aunque brevísimo, como lo que Stockhausen y Luigi Nono ensamblaban), el blues, el rock y el folk de manera fluida. Tres de esas vertientes andan de la mano, se frotan y llegan al orgasmo en esta BLUE RECORD (Noja, 2013): 32 minutos de experimentación que en cada uno de sus detalles marcan territorio, desde una "SoulSelf" que es puro math rock no exento de melodía, hasta un "Rainbow" en plan Neil Young que conmoverá a los amantes del arrastre country, pasando por el fingerpicking de "In my better cup" o "Hiss of hush", o mejor aún, por los 12 minutos y medio de "Rats & mosquitoes", post rock ambiental con leves toques jazzy que Michael Gira (Swans) hubiese querido labrar, o lo mismo pintaba para Migala. Azul profundo y exigente el de Carlo Barbagallo. Grazie.
SENTIRE ASCOLTARE
Di Barbagallo sappiamo da tempo ormai la natura poliedrica, la capacità di muoversi tra sottigiliezze avant e brume roots concretizzata in modalità e incarnazioni diverse (soprattutto cogli ottimi Suzanne's Silver). Per limitarsi all'attività solista, con Quarter Century prima e col Live At Yoko Ono poi è come se avesse segnato gli estremi del raggio d'azione, marcato un territorio che copre dalla sperimentazione electro-psych fino al folk-blues più basale. Il difficile di siffatte dichiarazioni d'intenti è non perdersi nella larghezza del fronte espressivo, mantenere ben saldo il polso della proposta. In questo Blue Record il siracusano - con l'aiuto di membri sparsi di band contigue e attigue quali La Moncada, Dead Cat In A Bag e Monade Stanca tra gli altri - sembra proprio risolvere la questione, raggiungendo una sintesi intrigante perché apparentemente non forzata, una calligrafia naturale di piani espressivi sovrapposti.
Una specie di bassorilievo blues che chiama in causa tutto un microcosmo espanso di suoni, vibrazioni e fremiti visionari. Sussurri e grida, vampe e penombre. Ci sono le sincopi folk-psych in trama sintetica wave - quasi un Julian Cope bucolico - di Hiss Of Hush ed il caracollare desertico di Radion, c'è la lunga melliflua insidiosa ipnosi raga di Rats & Mosquitoes e una Rainbow che stilla malinconia indolenziata Elliott Smith via Layne Staley, poi ancora ecco le brezze robotiche a scompigliare lo swinghettino frusto di Jewish ed una In My Better Cup mefistofelicamente devota al vangelo d'irrequietezze Lanegan. Infine, per una Soulself che mira l'iperuranio chiamando in causa perturbazioni siderali psych, jazz e prog, c'è il rinculo frugale di quella For The Turnstiles che azzecca la cover rielaborando Neil Young in chiave acidula mariachi.
Un carosello elusivo ed evocativo, ambiguo nel senso migliore del termine. Da cui esci deliziosamente stordito.
MUCCHIO SELVAGGIO
Non è uno che si risparmia, Carlo Barbagallo. Musicista e compositore ancora giovane, eppur con alle spalle lunghi e trasversali trascorsi in formazioni del sottobosco italiano (Suzanne’Silver, Albanopower, La Moncada) nonché autore di diversi album in veste solista, produttore, curioso sperimentatore che all’avanguardia sa abbinare le lezioni di ambiti non necessariamente convergenti. Caratteri che spiccano nel Blue Record (Noja Recordings) dell’artista siciliano ormai torinese d’adozione, in otto canzoni figlie di un insaziabile eclettismo.
Ogni brano fa storia a se, conduce in una precisa direzione e poi disorienta con una fitta trama strumentale mai fine a se stessa. Il rock incontra il jazz in SoulSelf, la lezione morriconiana si fa onirica in Radion, funk e soul convivono nella rilettura di For The Turnstiles di Neil Young, la musica popolare è un semplice refrain che esce da una grammofono in Jewish, mentre gli anni Novanta emergono nei moti alt-rock di In My Better Cup e negli Alice in Chains (il binomio Staley-Cantrell è stato uno degli incontri fondamentali nell’apprendistato musicale di Barbagallo, e si sente) che fanno capolino dietro alle raffinate trame acustiche di Rainbow. Nel piccolo, grande universo rappresentato in Blue Record, la quiete è disturbata (Rats & Mosquitoe), il frastuono è razionale (Hiss Of Hush). Caos e cosmo, o forse viceversa.
ROCKIT
Undicesima fatica per Barbagallo, poliedrico musicista siciliano che, fra le tante esperienze, può vantare quella con Albanopower (e scusate se è poco), questo “Blue Records” trae il nome dallo studio di registrazione di Mondovì (Cuneo) in cui hanno preso corpo gli otto brani che lo compongono. A dispetto del nome, che evoca atmosfere jazzate, il clima del disco è profondamente psichedelico. A dir la verità, nell’opener “Soulself”, l’apertura rimanda direttamente proprio ad armonie jazz, tra il giro di accordi della chitarra e il lavoro del vibrafono: non si tratta solo di un ricordo di quello che è un mondo sonoro molto amato da Barbagallo, ma di una connessione profonda e sostanziante (nonché sostanziale) con la psichedelia, la quale nasce quando nel rock e nel folk vengono adottate i complessi accordi jazz, i tempi di batteria basati, diciamo così (e mi perdonino i musicisti, ma bisogna farsi capire anche da chi non suona), su un prevalente utilizzo dei piatti, e la massiccia tendenza all’improvvisazione basata sulle scale modali. Per lo meno, questo è quanto è avvenuto storicamente nella genesi della psichedelia della West Coast (due soli esempi bastano e avanzano: “Eight Miles High” dei Byrds e “Dèjà vu”, il brano, di CSNY, entrambi a firma David Crosby). In effetti, benché la conclusione di “Soulself” presenti sorprendentemente un riff da manuale del progressive nella sua versione più jazz-oriented, questa è la dimensione della psichedelia cui in “Blue Records” Barbagallo si accosta maggiormente: e la conferma arriva subito dopo, prima con l’interessante “Radion” e poi con la superba cover di “For the Turnstiles”, brano ingiustamente considerato minore di Neil Young solo perché relegato in chiusura della facciata A di quel capolavoro immenso che è “On the Beach” (1974). Barbagallo riesce nella colossale impresa di non far rimpiangere l’originale, perché, pur mantenendosi aderente allo spirito e al sound dell’originale (basato semplicemente su banjo e dobro), ne evidenzia i soprasensi, colorandolo di un torrido hammond che neanche Al Kooper, un sezione fiati tra il jazz e il soul, effetti elettronici che paiono uscire da un acid trip, cori che non si potrebbero collocare temporalmente e spazialmente altro che in un’afosa sessione al Broken Arrow Ranch nella prima metà dei Seventies). Il clima cambia con le successive “In My Better Cup”, dove trovo più forte l’influenza di Dr. John, e “Rats & Mosquitoes”, lungo e ipnotico strumentale in cui la tendenza di Barbagallo a utilizzare inserti di musica concreta, persistente in tutto il lavoro, si fa più forte, intersecandosi fecondamente con un ambiente sonoro fatto di arpeggi sospesi, batteria utilizzata coloristicamente, soprattutto sui piatti: il tutto, per certi versi, può ricordare alcune cose, tra le più dilatate, dei Jennifer Gentle. Se “Hiss of Hush” sposta la psichedelia di Barbagallo in territori più moderni e “Jewish” flirta addirittura con il manouche, il ca-po-la-vo-ro “Rainbow” ha qualcosa della pigra indolenza, che però qui si trasforma in rabbia, di “No Excuses” degli Alice in Chains. Una caratteristica tra le più evidenti dell’intero lavoro è la ricerca di un suono materico: pare di sentire il contatto fisico con le corde delle chitarre, ad esempio. Barbagallo riesce a fondere i vari strumenti, pur così presenti, in un tutt’uno perfettamente coerente, in cui ognuno si distingue nitidamente pur concorrendo a creare un’atmosfera complessiva totalmente armonica. Anche per questo "Blue records" si differenzia positivamente dal suono standard che caratterizza, purtroppo, troppi lavori odierni. In definitiva un ottimo disco, che merita tutta l’attenzione possibile.
INDIE-EYE
Torna il siracusano Barbagallo, e come in precedenza (Quarter Century e Live At Yoko Ono) è un bel sentire. Già firma e collaboratore di svariati progetti (Suzanne Silver, La Moncada, Albanopower) l’artista siciliano dedica il titolo della sua nuova prova agli studi di registrazione dove sono stati prodotti alcuni dei brani del nuovo disco. Blue Record non doma l’animo sperimentale del musicista e dei suoi sodali (tra cui membri di Dead Cat In A Bag e La Moncada), ma anzi lo sostiene e lo rinforza con bordate chitarristiche mai così vicine al post rock barricadero della scuola di Louisville, emblematica in tal senso è la traccia che apre il lavoro, la ferrosa e saltellante Soulself. La psichedelia post-tutto ricopre i brani di una patina arcigna e disturbante, anche quando il passo si fa più meditativo e cadenzato (Radion) o quando sembra che una banda di fiati in calzoncini e ciabatte accompagni l’esecuzione della riuscitissima cover Younghiana For The Turnstiles, direttamente da quel capolavoro che è On The Beach.
La trance ossessiva ed ipnotica prende il sopravvento nei dodici e rotti minuti di Rats & Mosquitos, delirio di spazzole strascicate, rumorismi siderali e arpeggi di chitarra avant blues da fine del mondo. Si è sempre a fuoco, sempre concentrati e sul pezzo, anche quando si aprono squarci di vecchie rabbie grunge come nella sofferta In My Better Cup o il nostro duetti con la spettrale voce di Lucia Argese (Hiss Of Hush). Il numerino jazz convulso in lo-fi di Jewish fa da apripista alle malinconie acustiche della bella Rainbow, pizzicata da una melodia che rimanda ancora a dolori ed uggiosità anni ’90 tra l’asse Seattle – Portland.
Blue Record è la conferma (graditissima) di un artista con molte cose da dire e con in testa un’idea di musica niente affatto scontata.
RUMORE
Ottime notizie dal poli-strumentista e autore siracusano, già collaboratore di Albanopower e La Moncada, nonchè solista fra psichedelia, radici nordamericane e avanguardia. Blue Record mantiene gli ingredienti dell'amalgama, ma ne cambia le proporzioni, sbilanciandosi verso i primi due e spingendo in direzione appena meno sperimentale. Il gusto ci guadagna: tenendosi lontano da soluzioni banali e clichè, Carlo Barbagallo firma sette brani elaborati e stimolanti, ma pronti per l'ascolto: l'elettricità con colori prog e post-rock di SoulSelf e dei suoi grovigli di chitarra; gli arpeggi acustici della cupa e folk In My Better Cup; i dodici minuti di viaggio lisergico a rilascio lentissimo di Rats & Mosquitoes; i quasi dieci di Radion, che comincia come un country-rock placido, inserisce un vibrafono e si trasforma in una rivisitazione personalizzata di For The Turnstiles di Neil Young, con fiati e slide, e gran finale desertico-spaziale.
MUSICZOOM
47 sfumature di blu. No, non è il vostro nuovo romanzo da spiaggia. Con l’estate che marcia inesorabile verso la sua conclusione era logico ed inevitabile che il blu fosse il colore prescelto per i vostri ascolti. Noi di blu finora ne abbiamo visto poco, ma ne abbiamo fatto incetta negli scorsi anni, per esempio ascoltando a ripetizione il Blue Album degli Orbital: 48 sfumature di blu. Con cui il Blue Record di Barbagallo (49 sfumature di blu), uscito quest’anno per la Noja Recordings, in realtà condivide ben poco. Apparentemente. Perché se dal punto di vista del suono siamo su due piani completamenti differenti (dove i primi si annientano con una trance a tratti estasiante ed esaltante, il secondo invece si muove su un filone rock blues con frequenti incursioni in territori strumentali e sperimentali), concettualmente siamo nella stessa dimensione spaziale. Letteralmente, spaziale. E ciò non è solo merito della fenomenale Rats & Mosquitos: 12 e passa minuti di divagazioni strumentali magniloquenti e psichedeliche che dimostrano come l’assenza di gravità riesce a far viaggiare la mente alla velocità della luce, nonostante ritmi assolutamente fermi. Sublime come un viaggio interstellare. Ma anche gli altri pezzi dell’album non sono da meno: solo per nominarne alcuni, le divagazioni ritmiche della traccia iniziale, Soulself; la memorabile rivisitazione di For the Turnstiles di Neil Young (altra chiara indicazione dei gusti musicali dell’artista); e lo struggimento conclusivo di Rainbow, impressionante per coinvolgimento emotivo e trasporto artistico. Il Blue Record si pone essenzialmente in pole position come album dell’anno, senza ripensamenti o dubbio alcuno. Anche perché negli episodi ove sembra fare più fatica, il disco riesce a sorprenderti ed entusiasmarti. Come in In my better cup, dove dopo l’inizio straniante, Barbagallo tira fuori in interpretazione da applausi degna del miglior Mark Lanegan. Che poco tempo fa ha pubblicato il suo Blues Funeral: e con questa fanno 50 sfumature di blu.
RADIO BOMBAY
Carlo Barbagallo, siciliano classe ’85, è un musicista a tutto tondo: compositore, arrangiatore, ingegnere del suono e produttore. Ripercorrere la sua lunga ed eclettica carriera è un’ardua impresa, soprattutto se lo si conosce da poco; lo ascoltai per la prima volta non molto tempo fa, quando diverse riviste di settore presentarono il suo ultimo lavoro, “Blue Record”, come un piccolo capolavoro. Il disco è, in effetti, un vero gioiellino: 8 pezzi, 40 minuti circa, un sapiente concentrato di blues, country rock e psych-rock anni ’60. Una sperimentazione dai toni pacati che, piuttosto che esaltare i pezzi, cerca di fonderli, creando un effetto puzzle in cui scorgere infinite sfumature. Il disco si apre con un blues dal titolo “SoulSelf” e prosegue con “Radion” e “For the Turnstiles”, seconda e terza traccia, dai toni più dolci e country; dalla quarta traccia in poi inizia la metamorfosi, la psichedelia si fa avanti e nemmeno te ne accorgi, il cambiamento avviene sinuoso, lentamente. “Jewish” sembra una vecchia registrazione su nastro di una qualche jam session da pub newyorkese, con una spolverata di jazz, “Rats & Mosquitoes” è invece una ballata di oltre 12 minuti dove chitarre e suoni (che ricordano effettivamente lo squittio di topi ed il fastidiosissimo verso delle zanzare) si portano avanti, creando un’atmosfera pacata e allo stesso tempo tesa, al limite del reale. Fra i progetti, passati e presenti, di Carlo Barbagallo ci sono: The Worst Problems, Le Tempestine, Les Dix-Huit Secondes, Albanopower, Suzanne Silver, Loners, La Moncada, In the Kennel, CoMET (Collettivo Musica Elettroacustica Torino). Barbagallo è un’artista emozionante, il suo approccio alla musica è completo, il suo gusto eccezionale: uno di quei grandi che passano spesso inosservati. Blue Record meriterebbe un posto in classifica fra i migliori dischi italiani del 2013.
VIVALOWCOST
Barbagallo ha recentemente pubblica il disco dal titolo "Blue Record". Il poliedrico musicista coglie nel segno proponendo un disco da otto brani uno più intrigante dell'altro. Il disco blu è un caleidoscopio sonoro, un arcobaleno muscale in cui a ogni nota corrisponde uno stato d'animo, tutto è al suo posto.
In "Soulself" c'è un approccio muscolare con un breve cantato sussurrato in inglese; si passa poi alla strumentale ed ipnotica "Radion" che ti avvolge come una coperta piena di buone melodie. C'è spazio anche per la cover della bellissima "For the turnstiles" di Neil Young. "In my better cup" si respira un'atmosfera diversa: voci e cori cupi si intrecciano in un turbinìo di accordi nervosi e una linea di basso davvero ben riuscita. Poi c'è "Rats & mosquitos": gli strumenti la fanno da padrone, sembra di stare in un deserto con un'irrefrenabile voglia di salvezza. Bella la chiusura con "Rainbow", bello l'uso del tocco sulla chitarra acustica, suggestiva la voce e spettacolare l'incedere desertico che richiama.
Barbagallo realizza un disco da ascoltare e riascoltare per ore e ore senza guardare l'orologio: il tempo non ha senso quando si ascolta tanta bellezza.
ROCK GARAGE
Difficile definire il nuovo lavoro del compositore siciliano Carlo Barbagallo. Dentro vi è di tutto: psichedelia, accenni free jazz, grunge, folk insomma, chi di più ne ha… Barbagallo riesce comunque a tirare via un lavoro gradevole, intelligente, che scorre tranquillo fino alla sua conclusione riuscendo a non annoiare l’ascoltatore, anzi, a incuriosirlo maggiormente. Principalmente parliamo di un lavoro strumentale in cui i (pochi) brani cantati presentano voci lontane. Apre la rapida Soulself. Pochi minuti di basso elettrico martellante e “danzante”, di chitarre sotto acido con gustoso intermezzo free-jazz. Tra il Captain Beefheart di Trout Mask Replica e il Frank Zappa più curioso. Segue Radion, placida e rilassata. Mentre For The Turnstiles è una cover di un vecchio brano di Neil Young, dal dimenticato On The Beach. Il lavoro di restyling operato da Barbagallo è ottimo, sembra quasi di ascoltare Beck filtrato maggiormente dall’estetica lo-fi. My Better Cup si apre con un arpeggio sinistro e prosegue con un basso elettrico distorto e incazzato oltre ogni limite. Urla grunge e rabbia dominano il pezzo che arriva dritto alla lunga, lugubre Rats & Mosquitos. Concludono il disco lo swing mortuario di Jewish (con la relativa presenza di un kazoo) e i mille colori di Rainbow, ballata per chitarra e voce. Un lavoro decisamente riuscito, di breve durata (più o meno 40 minuti), ma maturo e coraggioso.
OSSERVATORI ESTERNI
Musicista curioso e poliedrico, Carlo Barbagallo è uno di quei nomi che da tempo gira, a ragione e con insistenza, negli ambienti indipendenti, raccogliendo consensi e il rispetto della comunità underground, molto spesso isterica e con la puzza sotto il naso.
"Blue Record" – album di ritorno dopo "Live At Yoko Ono" e "Quarter Century" – si muove nei territori blues e psych-folk, immergendosi di tanto in tanto nel prog e nel jazz. Coadiuvato da musicisti provenienti dai suoi progetti paralleli – due nomi su tutti La Moncada e La Monade Stanca -, Barbagallo dà vita a un lavoro raffinato, mai banale, prodotto con criterio e gusto che riesce a farsi ascoltare tutto d’un fiato.
Si apre con "Soulself": due minuti scarsi martellati da un basso poderoso con un intermezzo impro-jazz azzecatissimo e si continua con la delicata "Radion" per poi arrivare all’acidissima "In My Better Cup", punto di contatto tra Mark Lanegan e il grunge.
Barbagallo è in stato di grazia e si vede, divertendosi a giocare con la tradizione, coverizzando "For the Turnstiles" di Neil Young – contenuta nel meraviglioso "On The Beach" – addolcendola con fiati e percussioni, mica poco.
"Blue Record" è un ottimo lavoro, pieno e maturo, che meriterebbe vetrine luminose e palchi prestigiosi. Consigliatissimo.
SON OF MARKETING
Quando si parla di musicisti e compositori come Barbagallo (una prolifica carriera alle spalle fra cui i progetti Suzanne’Silver, Albanopower, La Moncada) non ci si può fermare alla definizione di genere ma non si può nemmeno parlare soltanto di sperimentazione. Il suo approccio alla musica è decisamente ampio e caratterizzato da un spiccata attitudine all’abbattimento di schemi predefiniti. Segue un percorso proprio nel quale la libertà stilistica è l’unica direzione individuata.
A conferma di questo c’è il nuovo album intitolato Blue Record. Partendo dalle venature psichedeliche (spiccate e lisergiche in “Hiss of Hush“), la sua musica si presenta con forti irrobustimenti, abrasive dilatazioni che sostengono strutture blues (“Radion“), giochi ritmici (“Jewish“) e anche aperture melodiche (“Rainbow“).
La sua creatura prende forma con l’iniziale “SoulSelf”, fra i brani più corposi dell’album e che mette in risalto gli scompensi ritmici. La bravura di del musicista si può ascoltare anche nella renterpretazione di “For The Turnstiles” di Neil Young: con un’attenta analisi delle sfumature, viene amplificata la potenza del brano concedendo spazio anche all’anima rumoristica della sua musica nella seconda parte.
“In My Better Cup” è un pezzo che fa della multistratificazione il suo forte: dalle ritmiche ossessive acustiche di base, si eleva un altro livello colmo di distorsioni che assecondano l’aspetto vocale. La vetta dell’album è raggiunta con ”Rats & Mosquitoes“: una lunga e oscura visione psichedelica che assume le connotazioni ambientale fatta di piccole ma essenziali incursioni che vanno a movimentare il tessuto interno del brano.
Otto brani legati dalla ricerca di una rilettura del filone psichedelico e che rispecchia l’ecletticità del musicista siciliano, fra i talenti più meritevoli del nostro Paese. La sua bravura sta nell’aver trasformato l’attitudine in impostazione personale attraverso un sound forte e riconoscibile proprio come il colore dell’artwork del disco.
THE DAFEN PROJECT
Prima di ascoltare questo disco, vi consiglio di disintossicarvi almeno per un giorno da tutto l’ universo musicale -imposto più o meno subliminalmente- che vi circonda. Lasciate passare soltanto i suoni e i rumori naturali; il resto filtratelo accuratamente, spengete la radio, youtube scordatevelo, fate finta di non vedere i cd che affollano casa vostra. Passate le 24 ore, andrete su SoundCloud, e premerete play su “Blue Record”, ultimo lavoro del compositore siciliano BARBAGALLO. Fatto? Ancora probabilmete non ve ne starete accorgendo, ma è appena cominciata la vostra rieducazione musicale. Proverete a scalciare, quasi infastiditi dall’ evidente registrazione fatta in casa, così lontana dalle produzioni impacchettate e lustrate; nudo e crudo però è anche più intimo e immediato; dunque alla fine non vi rimarrà altro che arrendervi al suo fascino. Io stessa mi sono avvicinata scetticamente, annusando l’ aria come un animale impaurito. Il giorno dopo mi sono svegliata canticchiando “SoulSelf” e completamente assuefatta all’ ipnotica “In My Better Cup”.
Questo album ha infatti l’ immenso potere di catapultarci in una dimensione spazio-temporale altra, una sorta di liquido amniotico che ovatta i rumori esterni, una trance primitiva di assoluta comunione con ciò che ci sfiora. Si amplificano i sensi, e le percezioni si fanno più intense.
Non c’ è un’ etichetta da poter appiccicare sopra a questo insolito artista; tocca generi agli antipodi, dal rock, all’ ambient, dal blues al synth, facendo della propria indipendente e creativa sperimentazione un’orgogliosa bandiera. La stessa curiosità che suscita in noi ascoltatori, solleticando corde della nostra anima atrofizzate e poco stimolate dalla comune musica commerciale.
Mi raccomando, concedetegli (e concedetevi) il tempo che si merita.
ONDA ALTERNATIVA
Carlo Barbagallo è un musicista. Definirlo cantautore, piùttosto che compositore o arrangiatore sarebbe a mio modestissimo parere sbagliato. Quello che fa è musica. Autore siciliano classe '85, stando alla sua biografia ha fondato la sua prima band all'età di 11 anni. Dal 2007 scrive, suona (tutti gli strumenti) e produce musica al ritmo di 3/4 lavori l'anno con le sue varie collaborazioni.
Questo Blue Record poi è una cosa un po' particolare. Arriva dopo altri 3 album solisti, alcuni EP e un paio di registrazioni live. Forte è l'influenza blues, che pare muoversi in una sorta di reinterpretazione elettronica, quasi grunge. Le canzoni sono sempre accompagnate dal rumore metallico delle corde di chitarre acustiche, le voci sono quasi sempre lontane, con un certo retrogusto di lo-fi e di rumore di sottofondo tipico dei vecchi vinili. Si tratta di composizioni complesse, con una struttura articolata piena di suoni e strumenti che si intrecciano, lasciando spazio ora alla chitarra, ora all'organo, ora ai fiati. Tutto molto ben amalgamato.
L'album è fondamentalmente un album strumentale. Le voci, i cori, le parole si piegano di fronte ai suoni, il significato perde d'importanza. Le uniche canzoni realmente cantate sono Rainbow e From the Turnstiles, una cover di un vecchio pezzo del '74 di Neil Young. Una rivisitazione intelligente è piacevole, che si distacca quanto basta dall'originale pur mantenendone i richiami. For the Turnstiles è seguita probabilmente dal più bel pezzo dell'album, In my Better Cup: cori femminili si alternano su un lamentoso giro di chitarra.
L'album si conclude con Jewish, una sorta di swing allegro da balera anni '30 in cui fa capolino anche un kazoo, seguito dalla già citata Rainbow, che al contrario è un malinconico chitarra e voce.
Un bell'album da ascoltarsi d'un fiato insomma, che anche grazie alla durata abbastanza breve (circa 40 minuti) consente di apprezzare a pieno le capacità di questo polistrumentista. E poi, cosa molto importante, lo potete ascoltare tutto in streaming!
IL TEATRINO DEGLI ORRORI
Musica affascinante e magnetica quasi quanto le scariche statiche di una vecchia tv fuori sintonia.
SHAKE
Per Carlo Barbagallo è il suo curriculum a parlare e per una volta a dire molto e ad inquadrare il personaggio, dallo studio dei suoni alle registrazioni lo fi, dalle sperimentazioni alle sonorizzazioni, senza tralasciare il suo percorso artistico oltre che da solista anche con diverse band (Albanopower , Suzanne' Silver , Les Dix-huit secondes , La moncada). Questo "Blue Record" è un vero e proprio ritratto, profondo come il colore che da il nome alla release. Si respira "cinema" nelle immagini che affiorano alla mente e sensazioni, suggestioni, gli anni '70, un cowboy e il suo cavallo, che sembra vadano al piccolo trotto (la suggestione in questo caso è data dai tempi di batteria) e raccontano o semplicemente ricordano "storie" ma anche no, nel senso che questo è il cammino che noi abbiamo intrapreso ascoltando i brani e l'immagine "che ne abbiamo cavalcato" per cercare una chiave al mondo di Barbagallo che è sicuramente un mondo dove vi consigliamo di immergervi e scoprire le "vostre" suggestioni. "SoulSelf": jazz, psichedelica e un mood di stampo anni 70 convulso e convincente. "Radion": folk psichedelico a tinte western con tanto di vibrafono, suggestiva e cinematografica. "In My Better Cup": ipnotica, dall'incedere cupo e marziale, si avvicina all'ultima produzione dei Black Eyed Dog come sonorità d'insieme. "Rats & Mosquitoes" dodici minuti di pura alchimia sonora in una suite/colonna sonora, liquida e dilatata. "Hiss Of Hush": giochi di voce e ritmica accattivante. "Jewish" 2 minuti concitati dal piglio jazz dal gusto retrò. "Rainbow": la traccia più convenzionale verrebbe da dire, è una ballad folk che cresce via via d'intensità e mette in mostra un cantato decisamente convincente.
ROCKAMBULA
Barbagallo è un giovane artista siciliano che si contraddistingue per la sua naturale propensione alla musica da poli strumentista autodidatta. Capace di spaziare da melodie Classic-jazza a composizioni più frizzanti Folk Blues, sempre con l’accortezza di una composizione fluida e originale che si riversa nei più schietti e sinceri passaggi di psichedelia Rock. Otto brani missati con dedizione per proporci un ascolto che spazia tra timbriche molto diverse che conferisco a questo disco un onda sonora surreale per un viaggio musicale composto da atmosfere introspettive.
“SoulSelf”è il brano che apre l’Ep, attacco da Big Band vecchio stile, mi ha lasciato un po’perplesso all’inizio, ma probabilmente la scelta è dovuta al passato musicale di Barbagallo. “Radion”, la seconda traccia, comincia a staccarsi dalle convenzioni per portarci in un’atmosfera di fluido Blues che ci scioglie per portarci dentro. Segue una cover del buon vecchio Neil Young,“For The Turnstiles”. A scendere “In my Better Cup” e “Rats & Mosquitoes”due pezzi cupi e visionari che toccano l’intimità di Barbagallo in una ambientazione da cattedrale abbandonata. “Hiss of Hush”non è da meno, liquida mi ha fatto scioglere, il pezzo migliore secondo me. Chiudono l’album,“Jewish” e “Rainbow”; la prima confusionaria con un magnifico clarinetto di sottofondo, la seconda onirica conclude l’Ep lasciandoci nel sogno, nella speranza con splendidi accordi di chitarra.
Questo è un ottimo lavoro che premia la genialità musicale di questo ragazzo che con estrema musicalità e padronanza della composizione non lascia nulla al caso per farci scivolare in noi stessi in modo fluido senza incupire.
THE WHITE SURFERRegistrato nel corso del 2011, "Blue Record" è l'omaggio che il siracusano Carlo Barbagallo rende all'omonimo studio di Mondovì, Cuneo, assieme alla folta schiera di musicisti che vi gravitano attorno: Ettore Magliano (Canalese Noise), Francesco Alloa (La Moncada, Goat Man Records), Manuel Volpe, Matteo Romano (Io Monade Stanca) e molti altri ancora.
Un nuovo caleidoscopio di suoni dopo il già poliedrico "A Quarter Century", che spazia dai ricchi arrangiamenti dell'iniziale Soulself alle più scarne In My Better Cup - chitarra mesta, voci in sottofondo di Lucia Urgese dei Les Dix-Huit Secondes e sfuriata grunge nel finale - e Rainbow, un gioiello di songwriting memore degli anni Novanta; dalle ipnosi di Radion (odore di Dirty Three) e della sperimentale Rats & Mosquitoes (repellente ad ultrasuoni per topi e mosche e molte altre sorprese nella strumentazione utilizzata) alle più giocose Hiss of Hush, altra collaborazione con la Urgese, e Jewish, swing d'epoca screziato di fruscii elettronici. Ciliegina sulla torta, la superba rivisitazione della For the Turnstiles di Neil Young.
Laddove molti si perderebbero in accostamenti forzati, realizzando un insieme poco coeso e privo di carattere, Barbagallo riesce magicamente ad armonizzare senza il minimo sforzo tradizioni folk-blues, sperimentazione elettronica e scrittura memore del sound americano di fine millennio, amalgamando con una naturalezza più unica che rara universi solo apparentemente inconciliabili. Una necessità di esprimersi che supera ogni vincolo di genere o ogni strategia opportunistica su cosa sarebbe bene fare e non fare: l'amore per la musica come unico motore.
MOLAMOLA
Carlo Barbagallo è uno di quei musicisti a cui, dovendolo incontrare per la prima volta, non converrebbe chiedere “e insomma di cosa ti occupi?” a meno che non abbiate tutta la serata completamente libera. Apriremmo volentieri una sezione di Molamola solo per parlare dei suoi innumerevoli progetti e delle sue tante sembianze artistiche ma lo spazio ed il tempo sono tiranni. Ci concentriamo perciò su Blue Record, lavoro di pregevole fattura, che fa risaltare l’amore di Barbagallo per quel genere chiamato LO-FI. Definizione tuttavia restrittiva, visto che Barbagallo spazia nel disco dal blues scarnificato al rock cavernoso, dalle atmosfere alla Marc Ribot a paesaggi quasi post-rock, trovando anche il tempo di incidere una cover di Neil Young.
“Radion”, la seconda traccia è stata quella che ha vinto, ma se avessimo pescato un’altra qualunque delle sue “sorelle” sareste comunque capitati bene. Abbiamo scelto questo pezzo perché l’anima del disco è strumentale (seppur la voce fa capolino qua e là), e Radion la sintetizza al meglio. Intendiamoci: non è musica adatta per una serenata, non lo metterete mai su ad una festa o se volete qualcosa di orrendamente ballabile...ma allo stesso tempo è proprio ciò che noi cerchiamo a Molamola. Quel genere di disco che ti fa stare bene anche da solo, di cui ci si convince di essere tra i pochi estimatori e invece…
In Radion spicca il costante, lento e progressivo dialogo tra chitarra, basso e batteria dai toni lisergici, dilatati. Vengono in mente paesaggi arsi dal sole, ritratti da un menestrello elettrico che all’ombra di un albero cerca la fonte d’ispirazione. Un’atmosfera che nonostante tutto però non è oppressiva, non crea alcuna cappa di calore o tensione, ma che anzi…fa trasparire tra le note una certa cura per la rarefazione dei suoni. Questa “Radion”, come recitano le stesse note a corredo del disco è un “lungo viaggio interstellare nella polvere”: c’è da gustarsela, passeggiando lentamente facendosi spettinare dal vento oppure dondolandosi su un’amaca a fissare la luce del sole. Radion e in generale tutto il disco a chi scrive hanno richiamato alla mente il progetto di un duo portoghese, tali Dead Combo, ed il loro disco Lisboa Mulata dove blues, folk, lo-fi e musica portoghese si fondono in un caldissimo abbraccio sonoro. Barbagallo non è da meno, e oltre che abbracci (sonori e non) meriterebbe anche una sincera stretta di mano per questo lavoro di pregio. Chapeau.
SHIVER
Il disco parte, Barbagallo (Albano Power, La Moncada) ricorda Rosolina Mar! Un gruppo favoloso, indimenticabile e purtroppo dimenticato. Le chitarre si aviluppano in armonici groove psichedelici, la batteria che regge il ritmo, tutto fila lisco. Poi la voce lontana, che racconta e canta di storie surreali e personali.
Barbagallo alla sua prima prova, primo pezzo, sembra qualche cosa di già sentito. Tutto poi cambia perchè arrivano chitarre western da far invidia ai Ronin che irrompono in un blues funky davvero interessante, con una voce nera disco ’70. È una cover di Neil Young. C’è spazio per le ballate oniriche (“In My Bettter Cup”) e davvero ben costruite che esplodono in momenti noise con gusto. “Rats e Mosquitoes” si mantiene sulla stessa linea, suoni lineari e sospesi per passare con grazia in un pezzo strappa cori e ritmi pulseggianti. “Jewish” è un pezzo psichedelico alla Captain Beefheart senza la voce del capitano, mentre “Rainbow”, che chiude il disco, è una calda ballata da montagna, con chitarre ben registrate e sintonizzate e la voce calda e liquida, che racconta ammiccante un testo semplice e immediato.
Un lavoro particolare, spiazzante, ben fatto che non sempre arriva dove vorrebbe arrivare ma che trascina e convince quanto basta.
DISTORSIONICarlo Barbagallo, estroso artista (compositore, arrangiatore, ingegnere del suono, produttore) siculo trapiantato a Torino, già conosciuto per le performance con band di tutto rispetto come: Albanopower, Dead Cat In A Bag, La Moncada, etc, ritorna con un nuovo album dal titolo “Blue Record”. Disco di qualità che rappresenta bene l'artista e le sue varie sfaccettature musicali. Otto tracce e 40 minuti, più o meno, di sound variegato, che spazia dal jazz al progressive, dalla ballad rock (la struggente Rainbow) al blues (di SoulSelf), dal country (vedi For the Turnstiles) al funk/soul di una riuscitissima versione di For The Turnstiles di Neil Young, fino ad arrivare alla sperimentazione (Rats & Mosquitos tra le altre) che attraversa tutto il disco. Blue Record dà una forte sensazione d'improvvisazione e di psichedelia anni 60 (a tratti alla Byrds), merito dei musicisti che Barbagallo ha riunito. Un album variopinto, che si discosta certamente dalle mode e che mette in risalto la musica, quella pura, suonata da strumenti veri, senza artifizi e con tanta competenza, che non ha bisogno di contorni perché di sostanza ce n’è parecchia. In Blue Record l'anima di ognuno dei componenti della band (provenienti da Io Monade Stanca, Airportman, Dead Cat In A Bag, Manuel Volpe, Les Dix-Huit Secondes) si fonde in una sola, dando vita a un disco totalmente istrionico, che trasuda divertimento, nel quale lo scambio di ruoli è massimo e nessuno è leader e protagonista se non la musica. Barbagallo ha fatto un disco intelligente e ricco di passione.
WOODSTOCK77
Barbagallo dà i natali al suo nuovo album,“Blue Record”,blu come la copertina. Composto da otto tracce, non è semplicemente classificabile in un genere ben prestabilito come già è accaduto per i precedenti lavori del compositore siciliano. Ciò è identificabile sin dalla prima traccia, che tra vocals eteree e melodie a dir poco sghembe, per non dire quasi dissonanti ci avvolge in un atmosfera onirica bellissima, come in un vortice caleidoscopico di immagini sfocate. Si prosegue invece con un blues più canonico, una passeggiata nel deserto del sale per atmosfere ben sviluppate che continuano poi in “In My Better Cup” e “Rats & Mosquitos”, mentre la prima è una ballata prettamente acustica la seconda è una cavalcata psichedelica di dodici minuti che stupisce molto per come lentamente è in grado di infilzarsi tra le ossa per appassionare lentamente l’ascoltatore. Come per gli album precedenti Barbagallo non si risparmia con la fantasia donando alle sue canzoni paesaggi variegati e sempre pregni di quell’atmsfera un po’ trasognata ed un po’ desertica che rende la sua musica ormai riconoscibile.”Blue Record” non è un lavoro facile, le melodie non sono esattamente “catchy” e la musica non di semplicissima fruizione ma chi darà ad essa la possibilità di esprimersi non ne rimarrà assolutamente deluso.
STORDISCO
Dopo aver fatto due chiacchiere con lui (vedi qui), ed aver scoperto che Carlo Barbagallo non è solo il musicista, il tecnico, il produttore, ma anche il bambino che ancora ha voglia di sperimentare, conoscere e stupire, possiamo parlare della sua ultima creatura. Anche se “ultima” per Carlo non è mai una parola che suona bene. Possiamo dunque dire che è un album di partenza, quella che non si è mai stanchi di intraprendere, dopo innumerevoli soste fatte sempre con la medesima voglia di ripartire. E sono ben otto le “tappe” di questo lavoro, ognuna delle quali ci regala alla fine una pausa che ci darà il giusto ritmo dell’attesa , per poi potersi meravigliare ogni volta della omogenea diversità di ognuna delle tracce. Diversità regalata dalla grande capacità dell’artista e dei suoi ospiti, di saper spaziare con estrema naturalezza, da un genere al suo opposto, riuscendo sempre con estrema perfezione a combinare inconsapevolmente (ma anche no), suoni lisegici a suoni caldi, che in toto avvolgono e ti consegnano alla successiva scena, ovviamente diversa. Sembra dunque essere questo il punto di forza di Blue Record, la totale selezione e fusione di generi, colori e umori, che danno vita a qualcosa di unico e inqualificabile, cielo e mare che si incontrano, materie diverse, sfumature diverse, ma stesso principio. Il blu. Blu elettrico, quello iniziale di “SoulSelf”, che non dà certo tempo di pensare, ma voglia di andare avanti pensando che tutto sia alla stregua di un velocissimo vortice. E invece no, ecco che arriva “Radion”, una ballad da toni caldi e rilassati, da serate estive a mirar orizzonti in riva al mare, che assume sfumature malinconiche, da vero blues. Si arriva pian piano a “In My Better Cup” in cui voci e blues all’unisono gridano con gran forza, la stessa che spingerebbe chiunque ad andare oltre. Oltre. Oltre il passato, oltre le cicatrici e oltre quello stesso orizzonte che famelici si vuole superare. Basteranno dunque i successivi dodici minuti di “Rats & Mosquitoes” per riflettere e capire come fare. Lenta, lunga a tratti lugubre, ma in ogni caso necessaria per potersi superare ed arrivare allo stadio successivo. Ed ecco infatti che inesorabili arrivano i suoni della carica, quelli che dopo riflessioni e momenti di attenta analisi, ti spingono verso la tua meta conosciuta o no. Impossibile ora, non appassionarsi alla voglia di ricominciare tutto dall’inizio, ma con la consapevolezza di aver scoperto che alla fine certi momenti puoi farli durare in eterno con il giusto sound e i giusti colori, magari quelli di “Rainbow”. Un album che senza dubbio ha come tema il viaggio, inteso come traslazione dell’uomo verso nuovi lidi stellari, ma anche come trasformazione che il viaggio stesso impone.
QUADRI PROJECT
Barbagallo si presenta cosi...un pò cantastorie, un pò autobiografico, passionale e appassionato, emozionato e emozionale…tanto underground; inizia la sua avventura musicale nel 1985, sperimentando l’home-recording, e posizionando sul web molto del suo lavoro. Creatività sposata ai mezzi d’avanguardia, collaborazioni e approfondimenti, una continua ricerca e un avanzamento tenace verso i traguardi più ambiti: tutti conquistati; dalla specializzazione alla composizione e alla produzione musicale nonchè alla sperimentazione, Carlo Barbagallo, questo il nome completo dell’artista, fa della musica un mezzo semplice e complesso al tempo stesso, plasmabile e fluido. Il nuovo album è stato rilasciato tra marzo e aprile 2013, in streaming ed è intitolato “Blue record”, comprende otto tracce , mi ha entusiasmato molto il pezzo dal titolo “Radion” ma devo citare anche “Rats e Mosquitoes” per l’ambientazione sperimentale rarefatta, l’electro che ti assorbe e ti distende, un invito alla meditazione sonora; del resto tutto l’album cattura e invita all’ascolto, con un’olografica mano che ti afferra e lascivamente ti porta dentro la musica. Album di spessore è di certo un momento di alta musicalità. Apprezzatissimo.
LOST HIGHWAYS
Carlo Barbagallo è un musicista e compositore siciliano, ingegnere del suono e produttore artistico. Già noto e molto apprezzato nel panorama indipendente sia come solista sia per i suoi progetti paralleli tra i quali Suzanne’ Silver, Albanopower e La Moncada. Nel marzo scorso presenta il suo ultimo lavoro dal titolo Blue Record in onore dello studio di registrazione presso il quale collabora e luogo di produzione del disco stesso. Blue Record si compone di otto tracce, precisamente sette inediti ed una cover di Neil Young. Si tratta di pezzi per lo più strumentali che mettono in evidenza (oggi come in passato) il piglio creativo e la bravura dell’artista, nonché la capacità di spaziare tra più generi, come il blues, il jazz, l’ambient e il post-rock. L’apertura del disco è affidata alla psichedelica Soulself con i suoi ritmi irregolari e dirompenti, seguita dalle atmosfere da film Western di Radion, dove le acque si chetano leggermente e al continuo intreccio di batteria, basso e chitarra si interpongono le bucoliche note del vibrafono. Si arricchisce, rispetto all’originale, di un’ampia sezione di fiati e percussioni tribali la personale interpretazione di For The Turnstiles di Neil Young. Una versione di tutto rispetto quella di Barbagallo, che presenta però una piccola pecca negli eccessivi effetti elettronici sul finale del pezzo. Atmosfere più cupe sono quelle che caratterizzano In My Better Cup e Rats & Mosquitoes; quest’ultima, in particolare, si insinua come un tarlo nella mente a causa dei fastidiosi ultrasuoni prodotti dal repellente per ratti e zanzare. L’album si chiude con Rainbow, un brano più tradizionale e malinconico costituito dalla sola chitarra e voce. Ancora una volta, con Blue Record e la sua musica, Carlo Barbagallo regala all’ascoltatore un disco accattivante e godibile dal primo all’ultimo pezzo, assieme alla possibilità di esplorare territori musicali un po’ più insoliti rispetto a quelli a cui si è abituati.
DISTORSIONI
Carlo Barbagallo, estroso artista (compositore, arrangiatore, ingegnere del suono, produttore) siculo trapiantato a Torino, già conosciuto per le performance con band di tutto rispetto come: Albanopower, Dead Cat In A Bag, La Moncada, etc, ritorna con un nuovo album dal titolo “Blue Record”. Disco di qualità che rappresenta bene l'artista e le sue varie sfaccettature musicali. Otto tracce e 40 minuti, più o meno, di sound variegato, che spazia dal jazz al progressive, dalla ballad rock (la struggente Rainbow) al blues (di SoulSelf), dal country (vedi For the Turnstiles) al funk/soul di una riuscitissima versione di For The Turnstiles di Neil Young, fino ad arrivare alla sperimentazione (Rats & Mosquitos tra le altre) che attraversa tutto il disco. Blue Record dà una forte sensazione d'improvvisazione e di psichedelia anni 60 (a tratti alla Byrds), merito dei musicisti che Barbagallo ha riunito. Un album variopinto, che si discosta certamente dalle mode e che mette in risalto la musica, quella pura, suonata da strumenti veri, senza artifizi e con tanta competenza, che non ha bisogno di contorni perché di sostanza ce n’è parecchia. In Blue Record l'anima di ognuno dei componenti della band (provenienti da Io Monade Stanca, Airportman, Dead Cat In A Bag, Manuel Volpe, Les Dix-Huit Secondes) si fonde in una sola, dando vita a un disco totalmente istrionico, che trasuda divertimento, nel quale lo scambio di ruoli è massimo e nessuno è leader e protagonista se non la musica. Barbagallo ha fatto un disco intelligente e ricco di passione.
IL TEATRINO DEGLI ORRORI
Musica affascinante e magnetica quasi quanto le scariche statiche di una vecchia tv fuori sintonia.
NATURALEZA INSACIABILE
Directamente desde Sicilia no les traemos a ningún mafioso, mamma mia, sino que algo muchísimo mejor: la música de Carlo Barbagallo, personaje que, como se lee en su Bandcamp, ha experimentado las posibilidades creativas de grabar tanto en estudio como de forma casera, y ha formado parte y/o liderado un montón de bandas o proyectos. Carlo ha incursionado en la electroacústica (su EP A1/So Free (2012) es tan serio, aunque brevísimo, como lo que Stockhausen y Luigi Nono ensamblaban), el blues, el rock y el folk de manera fluida. Tres de esas vertientes andan de la mano, se frotan y llegan al orgasmo en esta BLUE RECORD (Noja, 2013): 32 minutos de experimentación que en cada uno de sus detalles marcan territorio, desde una "SoulSelf" que es puro math rock no exento de melodía, hasta un "Rainbow" en plan Neil Young que conmoverá a los amantes del arrastre country, pasando por el fingerpicking de "In my better cup" o "Hiss of hush", o mejor aún, por los 12 minutos y medio de "Rats & mosquitoes", post rock ambiental con leves toques jazzy que Michael Gira (Swans) hubiese querido labrar, o lo mismo pintaba para Migala. Azul profundo y exigente el de Carlo Barbagallo. Grazie.