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Any Girl's Eyes EP - 2016
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ONDA ROCK
MUCCHIO SELVAGGIO
Le correzioni di Barbagallo. Presentazione di “Any Girl’s Eyes EP” a cura di Stefano Solventi.
Ebbene sì, sto per gettare la spugna. Mi manca davvero poco e ho la sensazione che avrei dovuto farlo da un pezzo. Invece sto ancora qui a cercare di capire Barbagallo, di inquadrarlo. Un'autentica perdita di tempo. Mentre negli anni ne scoprivo le varie declinazioni soliste (un range che va dal folk-blues più basale all'avanguardia electro-psych) e il caleidoscopio dei progetti bandistici (i blues-rock La Petroliera, gli avant jazz Les Dix-huit Secondes, gli ultra-popadelici Albanopower, i grunge in acido Suzanne’Silver, i bluesy Tempestine, i più matematici La Moncada, l’impro noise del trio con Jean Francois Laporte e Emilio Bernè), al senso di pienezza e intensità delle proposte si aggiungeva lo sconcerto per l'imprevedibilità di soluzioni e direzioni sonore. Roba che un qualsiasi scribacchino musicale ci diventa matto, tenuto com'è a definire e catalogare, obbediente alla regola inflessibile del "file under". Meglio gettare la spugna, credetemi, e prendere questo trentenne (circa) siracusano così come viene. Tuttavia, in questo turbillon di idee e slanci, c'è una cosa che non è mai venuta meno e che potrebbe rappresentare la vera polpa poetica di Barbagallo: la determinazione a seguire l'estro fino al suo compiersi, rendendo impossibile distinguere il confine tra slancio appassionato e sforzo intellettuale, entrambi spinti entusiasticamente fino al limite. Un bel ritrattino di musicista, non c'è che dire, mi sono fatto negli anni. Questo nuovo disco arriva però a raccontarmi che c'era posto per un altro colore, del tutto inatteso: quello caldo e pulsante del soul. No, davvero, da non crederci, ma è proprio così: l'ultima incarnazione di Carlo Barbagallo si fa impollinare da suggestioni black, pennella i bordi col calore luminoso dei fiati, manda le chitarre in sollucchero rugginoso e si scava interpretazioni canore più dense. Riuscendo a risultare ancora una volta convincente. Chiariamo: soul qui significa più attitudine che stile, un'angolazione che sposta il baricentro sonico dalle parti di John Martyn buonanima, uno sfarfallare acustico ed elettrico come ti aspetti da chi si porta Terry Callier nel cuore, senza scordare l'antica ruvidità che rimanda a certi prodromi grunge, in particolare all'iperblues dei Soundgarden con gli amplificatori smorzati. C'è insomma un senso di percorso che prosegue con le giuste correzioni di rotta, ma appunto prosegue e sembra avere chiara la direzione. Perciò seguirlo fa così piacere.
ONDA ROCK
MUCCHIO SELVAGGIO
Le correzioni di Barbagallo. Presentazione di “Any Girl’s Eyes EP” a cura di Stefano Solventi.
Ebbene sì, sto per gettare la spugna. Mi manca davvero poco e ho la sensazione che avrei dovuto farlo da un pezzo. Invece sto ancora qui a cercare di capire Barbagallo, di inquadrarlo. Un'autentica perdita di tempo. Mentre negli anni ne scoprivo le varie declinazioni soliste (un range che va dal folk-blues più basale all'avanguardia electro-psych) e il caleidoscopio dei progetti bandistici (i blues-rock La Petroliera, gli avant jazz Les Dix-huit Secondes, gli ultra-popadelici Albanopower, i grunge in acido Suzanne’Silver, i bluesy Tempestine, i più matematici La Moncada, l’impro noise del trio con Jean Francois Laporte e Emilio Bernè), al senso di pienezza e intensità delle proposte si aggiungeva lo sconcerto per l'imprevedibilità di soluzioni e direzioni sonore. Roba che un qualsiasi scribacchino musicale ci diventa matto, tenuto com'è a definire e catalogare, obbediente alla regola inflessibile del "file under". Meglio gettare la spugna, credetemi, e prendere questo trentenne (circa) siracusano così come viene. Tuttavia, in questo turbillon di idee e slanci, c'è una cosa che non è mai venuta meno e che potrebbe rappresentare la vera polpa poetica di Barbagallo: la determinazione a seguire l'estro fino al suo compiersi, rendendo impossibile distinguere il confine tra slancio appassionato e sforzo intellettuale, entrambi spinti entusiasticamente fino al limite. Un bel ritrattino di musicista, non c'è che dire, mi sono fatto negli anni. Questo nuovo disco arriva però a raccontarmi che c'era posto per un altro colore, del tutto inatteso: quello caldo e pulsante del soul. No, davvero, da non crederci, ma è proprio così: l'ultima incarnazione di Carlo Barbagallo si fa impollinare da suggestioni black, pennella i bordi col calore luminoso dei fiati, manda le chitarre in sollucchero rugginoso e si scava interpretazioni canore più dense. Riuscendo a risultare ancora una volta convincente. Chiariamo: soul qui significa più attitudine che stile, un'angolazione che sposta il baricentro sonico dalle parti di John Martyn buonanima, uno sfarfallare acustico ed elettrico come ti aspetti da chi si porta Terry Callier nel cuore, senza scordare l'antica ruvidità che rimanda a certi prodromi grunge, in particolare all'iperblues dei Soundgarden con gli amplificatori smorzati. C'è insomma un senso di percorso che prosegue con le giuste correzioni di rotta, ma appunto prosegue e sembra avere chiara la direzione. Perciò seguirlo fa così piacere.